Politica

Piano socio-sanitario: basta che non rimanga un libro dei sogni

Emilia Romagna. Il non profit parteciperà davvero al welfare? Se i princìpi scritti nero su bianco venissero tradotti in azioni concrete, la vittoria...

di Chiara Sirna

Se i princìpi scritti nero su bianco venissero tradotti in azioni concrete, la vittoria della cooperazione sociale emiliana sarebbe assoluta. Ma il Piano socio-sanitario 2007-2009 della Regione Emilia Romagna, presentato il 19 febbraio, resta da definire. Terminato il confronto con gli enti locali, se ne apre ora un altro con la società civile, dal 12 marzo. Il giudizio delle centrali cooperative al momento resta sospeso. «È un?enunciazione generica di principi». Condivisibili, ma ancora «da applicare», dicono i presidenti regionali di Legacoop sociali e Federsolidarietà.

La posta in gioco è alta: le 159 pagine del piano potrebbero rivoluzionare il sistema di welfare regionale, chiamando in prima linea proprio il terzo settore. Si parla di sportelli sociali di accoglienza e smistamento, Piani di zona partecipati, assistenza domiciliare, flessibilità di servizi, orari e risposte, sussidiarietà orizzontale, nuove emergenze (tra cui povertà e migranti, anziani, disabili e famiglie). Tutti ambiti d?intervento che chiamano in causa il non profit. Tanto che a pagina 28 si precisa che «la partecipazione dei soggetti del terzo settore si sviluppa con intensità crescente dal momento della programmazione, fino alla progettazione, realizzazione ed erogazione dei servizi». A partire proprio dalla fase dell?elaborazione dei Piani di zona. Di contro, invece, si precisa che «per i soggetti privati a scopo di lucro la partecipazione è limitata alla realizzazione ed erogazione dei servizi», fissando così uno spartiacque netto.

Alle pagine 32 e 33 torna determinante il richiamo al terzo settore, con l?elenco delle misure previste dal Fondo regionale per la non autosufficienza, finanziato per il 2007 con 100 milioni di euro (provenienti dalle addizionali regionali Irpef ed Irap). Si parla qui di «supporto alle famiglie», «interventi di emergenza», «reti informali di solidarietà» (dal portierato, al custode sociale), «e-care» (telesoccorso e teleassistenza), «sostegno alle associazioni di volontariato», «domiciliarizzazione».

Eppure qualcosa non quadra. «La parte della governance è limitata alla definizione dei ruoli delle istituzioni pubbliche», spiega Paola Menetti, presidente Legacoop sociali Emilia Romagna, «non si dice come dovrebbe partecipare il terzo settore». I paragrafi dedicati alla governance infatti si limitano a descrivere un modello di gestione pubblica, a cominciare dai nuovi uffici tecnici di piano fino alla creazione di distretti socio-sanitari. «Siamo citati come soggetto da valorizzare», conferma Davide Drei di Federsolidarietà, «ma non si dice come; si delinea anzi una gestione interistituzionale». «In passato la partecipazione alla programmazione dei Piani di zona è rimasta all?interpretazione degli enti locali», aggiunge Drei, che pure lamenta l?avvio di corsi formativi aperti solo «agli operatori pubblici».

Info: www.emiliaromagnasociale.it


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