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Piano Scuola Estate: rammendo o inizio del dopo?

Il Piano Scuola Estate deve certamente rispondere ai bisogni ma innanzitutto deve farsi preferire. Il Piano si misurerà non solo sulla capacità del sistema di attivarsi ma soprattutto sulla qualità dell’inclusione dei soggetti che parteciperanno. Questo Piano è qualcosa che potrà avere speranza se si dice subito che non finisce qua: questa è una politica che prova a disegnare l’inizio del dopo. Il ruolo del Terzo settore non è fare il gestore ma mettere in campo una natura diversa di beni e servizi educativi: non fare cose sociali, ma ambire a farle in maniera relazionale.

di Paolo Venturi

Ho letto con attenzione il Piano Scuola Estate e anche la circolare Versari che a mio avviso, per chi fa ricerca e si occupa di mettere le mani in pasta dentro il policy making, è qualcosa di veramente nuovo e diverso. Parto da alcune considerazioni: dopo tutto quello che è successo, ci si aspettava qualcosa. Questo Piano Scuola Estate si inserisce dentro un’aspettativa: doveva succedere qualcosa, perché la ferita è veramente profonda. Le ricerche ormai sono tante, quella dell’Istituto Toniolo per esempio dice che più del 40% dei ragazzi ha percepito un peggioramento nello studio ma contemporaneamente il 73% di questi ha potenziato in maniera forte uso dei social network e della tecnologia. Quindi non c’è soltanto un problema di mancato apprendimento ma anche uno spostamento del baricentro del reale dentro una dimensione altra.

Così come è profonda la ferita della povertà educativa, che già è un problema gigantesco in Italia con 1,2 milioni di minori in questa situazione, che aumenteranno. Ci si aspettava qualcosa perché quello che è stato fatto finora è palesemente sbagliato o abbastanza mortificante, come i 119 milioni spesi per i banchi a rotelle. E perché l’Ocse ha fatto un’analisi del Covid sull’impatto sull’apprendimento futuro, con una riduzione del Pil stimata in -1,5%. Ci si aspettava qualcosa e qualcosa è accaduto. Ma cosa è accaduto? Che abbiamo avuto un prolungamento della scuola ma non dell’obbligo scolastico: dobbiamo partire da qui. E questo è un grande elemento su cui ripensare tutto. La scuola diventa proposta nel tempo libero e chiunque abbia figli o fa colloqui di lavoro sa che chiedere a una persona cosa fa nel tempo libero significa ultimamente far emergere ciò a cui uno tiene: nel tempo libero le persone fanno ciò a cui sono interessate. Il Piano Scuola Estate quindi – questa è la sua vera sfida – deve certamente rispondere ai bisogni ma innanzitutto deve farsi preferire. Questo è il vero tema. Alla fine il Piano si misurerà – e sarà indispensabile fare una valutazione d’impatto – non solo sulla capacità del sistema di attivarsi ma soprattutto sulla qualità dell’inclusione dei soggetti che parteciperanno.

Per fare questa operazione ci vorrebbe una cornice di senso e la circolare Versari in questo senso è profondamente nuova e diversa, sia in termine di linguaggi sia per la capacità di incorniciare le azioni. C’è un’azione esplicita di ricucitura all’interno di una dimensione di significato, che non serve ad altro che a ridare speranza: come ci insegna Havel spiegando la differenza tra ottimismo e speranza, sperare significa fare qualcosa che ha senso. Quindi fare qualcosa che ha senso significa tornare a sperare. Una circolare che mette le cose in chiaro, perché esordisce dicendo che la scuola è stata un luogo in cui si è dilatata la disuguaglianza, non fa finta di niente. Poi detta come ricucire, con una sorta di trattato sul welfare comunitario… È qualcosa che assomiglia tantissimo a una politica generativa; è certamente sussidiaria, qualcosa che si propone (almeno nelle finalità) come una politica sussidiaria dove l’autonomia è giocata nella relazione/conversazione con gli altri e nel valorizzare gli apporti altri per una funziona pubblica. Ed è generativa, dove la generatività non è una funzione ma è misurata dal grado di apertura rispetto all’esistente. La generatività non è un “piano Gantt”, la generatività non la si definisce né per legge né con la qualità delle competenze: è la disponibilità a includere quello che accade, a un misurarsi con fattori non previsti.

Veniamo alla prova dei fatti. La circolare poi come viene declinata? I tempi sono maledettamente improbabili. Anche i richiami alla personalizzazione non so come possano attivarsi, perché chiunque abbia competenza in ambito pedagogico sa che la dimensione tempo è un elemento imprescindibile e oggettivo. Questo Piano quindi è qualcosa che potrà avere speranza se si dice subito che non finisce qua. Subito bisogna dire che non finisce qua. Questa è una politica che prova a disegnare l’inizio del dopo. Non so se sia un allenamento: per me è una palestra, come tante altre in cui siamo messi in questa fase eccezionale. Siamo tutti chiamati a giocarci la sfida su due fronti. O a pensarla come un’emergenza, quindi come una risposta, una ricucitura, un rammendo che poi ci fa buttare ago e filo oppure come l’inizio del dopo. La speranza è che questa infrastrutturazione sociale richiamata potentemente da questa politica sia davvero l’inizio del dopo. A seconda della posizione da cui la guardiamo, diamo un giudizio. Io capisco la posizione di quelli che dicono che è la classica logica di esternalizzazione, che i tempi sono stretti, che la progettualità non viene premiata… Sono tutte cose vere, ma dentro queste difficoltà c’è lo spazio per una sperimentazione. Perdiamo noi, noi Terzo settore, noi cittadini, noi genitori… l’opportunità. È uno spazio di opportunità in cui l’investimento lo dobbiamo fare noi, piuttosto che fare l’analisi costi-benefici.

Oggi siamo in una situazione pazzesca: adesso ci sono le classi pollaio, gli spazi che mancano, pochi docenti ma fra dieci anni, nel 2030, avremo 1,3 milioni di studenti in meno, 65mila docenti in esubero e una gran quantità di spazi inutilizzati. Questo Piano diventa l’occasione per immaginarci anche la scuola del domani e del dopodomani, dentro questo inverno demografico, altrimenti è un pit stop dove cambiamo le gomme consumate dopo un percorso faticoso ma che non ci aiuta a fare niente.

Due rischi da evitare: che questa scuola, non intercettando le preferenze, rischi di diventare il parcheggio per quelli che non hanno altre chances. Piuttosto che potenziare la socievolezza – non la socialità – e quindi il fare comunità, diventi un luogo di socioassistenziale con la scuola che si carica di compiti che non sono suoi, in cui le competenze non sono quelle che dovrebbero essere e quindi facendo un’operazione distruttiva. Secondo rischio è evitare la logica della fornitura: i tempi veloci fanno sì – me ne sono già arrivate – che si preparino elenchi, cataloghi di proposte da vendere alle scuole…

Però nel complesso io la guarderei come una grande occasione di investimento soprattutto di reale co-progettazione. Qui parlo al Terzo settore e all’impresa sociale: noi abbiamo celebrato la co-progettazione come liturgia che la Costituzione riconosce, ma la vera co-progettazione è la capacità di mutuo riconoscimento all’interno di processi che condividono percorsi e sfide comuni, sfide che hanno un rischio. Questa è una grandissima palestra di imprenditorialità sociale, di mettere in gioco paradigmi diversi: che si capisca che il ruolo del Terzo settore non è fare il gestore ma mettere in campo una natura diversa di beni e servizi educativi. La diversità del Terzo settore sta qui: non fare cose sociali, ma ambire a farle in maniera relazionale. Questa è la dotazione che il Terzo settore deve mettere a disposizione. Il Piano Scuola Estate è un grandissimo richiamo a far sì che la scuola da spazi diventi luogo. Che torni ad essere un luogo. Una grande occasione per rigenerare la coscienza di luogo. Il rischio della scuola è di essere uno spazio con delle funzioni: invece un luogo è uno spazio in cui le cose accadono, dotato di significato. Becattini diceva che la coscienza di luogo è necessaria per riacquistare la responsabilità. La responsabilità per una scuola non è accountability: è una cura, un mi prendo cura. La seconda cosa, potentissima, è che è il luogo a educare la comunità che lo abita. E se la scuola diventa luogo il tema non è più l’ingaggio.

Paolo Venturi è direttore di AICCON. Il testo è la trascrizione non rivista dall'autore dell'intervento fatto venerdì 7 maggio al webinar "Piano scuola estate: sogno o realtà? Esperienze e strumenti" organizzato da Cgm. Qui il video integrale della mattinata.

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