La data da segnarsi in calendario è quella del 31 gennaio 2013. Almeno per tutti quelli che sono interessati alla csr. E hanno intenzione di dire la loro, di offrire un contributo, sperando che possa incidere nella costruzione della csr che verrà. E non solo.
La fine del mese rappresenta infatti la scadenza per l’invio di contributi relativi al Piano d’Azione Nazionale sulla Responsabilità Sociale d’Impresa 2012-2014 che da dicembre è stato messo online sul sito del ministero del Lavoro e sul sito anche del ministero dello Sviluppo economico. Il piano è stato redatto in attuazione della Strategia Ue 2011-2014 sulla csr, con cui Bruxelles ha chiesto a ogni Stato membro di predisporre appunto dei piani nazionali per l’attuazione dei principi guida dell’Onu in materia di imprese e diritti umani. L’Italia lo ha predisposto entro i tempi, anzi per una volta è stata fra i primi in Europa a farlo, e da qualche settimana è stato aperto il periodo di consultazione pubblica. Dal quale, com’è prassi, ci si attendono contributi che possano migliorare quanto già elaborato.
Chiunque può inviare un contributo, seguendo le istruzioni indicate sulle pagine dei siti ministeriali. Il contributo deve riferirsi con precisione a una determinata sezione e pagina dell’Action Plan. E allora guardiamoci un pochino dentro, a questo documento di una sessantina di pagine, che è liberamente scaricabile.
È suddiviso in tre parti: strategia nazionale, quadro di riferimento e piano d’azione vero e proprio. Prevede, quest’ultimo, una ulteriore suddivisione in sei macro-obiettivi, ciascuno articolato al suo interno, relativi a: cultura della csr da aumentare, sostegno alle imprese socialmente responsabili, incentivi di mercato per la csr (il testo preferisce l’acronimo italiano, rsi), promozione della csr nel Terzo settore e nella società civile, trasparenza nelle informazioni sociali e ambientali delle imprese, utilizzo di strumenti internazionalmente riconosciuti (linee guida, standard, codici) per promuovere la csr.
Ora, è chiaro che sarà il tempo a giudicare la bontà del documento e la sua capacità di essere efficace rispetto agli obiettivi che si propone. Fin da ora si può comunque dire che si tratta di un’iniziativa importante, utile, in un certo senso anche simbolica.
Non solo, infatti, cerca di mettere a fattor comune – e a mio avviso ci riesce – quanto è stato fatto finora nel campo della csr in Italia, visto che il documento è pieno zeppo di riferimenti a iniziative, progetti, attori, casi di buone pratiche di cui il nostro Paese, anche se la cosa non è molto conosciuta, è davvero molto ricco (ci sono comunque una quantità di riferimenti anche a livello europeo e internazionale).
Ma soprattutto, ed è questo secondo la mia opinione il suo merito maggiore, il documento esprime forse per la prima volta in Italia un approccio di sistema alla csr. Che poi è l’unico che può davvero funzionare, come ripetono da anni tutti coloro che su questi argomenti lavorano, studiano, si spendono quotidianamente.
Se la csr non diventa una questione di cui investire l’intero sistema-Paese, ha poche (nessuna?) speranza di incidere effettivamente sul modello di sviluppo economico-sociale che si intende costruire negli anni a venire, sull’idea di società verso cui si vuole andare. Se invece riesce a passare il messaggio che in vista del raggiungimento di quegli obiettivi è necessario il contributo di ogni attore, compresi ad esempio i consumatori o, meglio, i consumattori, ma anche i sindacati, le organizzazioni della società civile, le amministrazioni centrali e locali, oltre ovviamente alle imprese e alle associazioni che le rappresentano, allora la csr può avere un futuro roseo ad attenderla.
Sarebbe un bel segnale, ad esempio, se i contributi a questa consultazione pubblica arrivassero davvero da chiunque. Non solamente, cioè, da quelli, ovviamente titolati a farlo e senz’altro più autorevoli, che già se ne occupano da tempo per lavoro o per passione. Ma da chi magari è a digiuno di questi argomenti eppure intuisce che la csr lo riguarda.
Perché anche in questo campo c’è bisogno di freschezza e creatività, di idee e immaginazioni nuove, magari di volti anche nuovi. Di ripartire, insomma, non ognuno per la sua strada ma in modo coordinato, frutto di una visione condivisa. Allora sì che questa sfida avrebbe senso e si potrebbe vincere. E l’Italia, anche pescando dalla sua grande forza e tradizione di economia civile, forse senza eguali al mondo, come pure da quel gigantesco bacino di esperienze di csr cosiddetta sommersa o inconsapevole di cui moltissime piccole e micro-imprese sono portatrici, fra qualche anno, chissà, potrebbe diventare una sorta di grande, immensa csr-valley, dalle Alpi alla Sicilia, che da tutto il mondo verrebbero a studiare.
Forse è utopia pensarlo, sperarlo. Ma credo che di utopie abbiamo urgente bisogno. E poi, se non ora quando?
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