Welfare
Piano nazionale competenze: ecco come coinvolgere la scuola (e gli insegnanti)
I dati che riguardano le conoscenze digitali vedono l’Italia fanalino di coda in Europa. Il progetto annunciato dalla ministra Catalfo per il Recovery Plan avrà una dotazione di 11,2 miliardi. Giovanni Biondi, presidente di Indire: «È uno strumento che va sfruttato a dovere»
di Redazione
«Dobbiamo tornare a investire sul capitale umano: da qui riparte la rinascita dell’Italia». È un investimento importante quello annunciato dalla ministra del Lavoro Nunzia Catalfo a proposito del Piano Nazionale Competenze, uno degli 11 progetti indicati per il Recovery Plan con i fondi in arrivo dall’Unione europea.
Sviluppato insieme al Ministero dell’Istruzione, dell’università, della ricerca e dell’istruzione, il piano avrà un valore di 11,2 miliardi di euro e avrà come obiettivo «l’acquisizione di competenze utili a superare il mismatch tra mondo degli studi e mondo del lavoro. Soltanto così riusciremo a superare questo momento difficile della pandemia», ha spiegato Catalfo.
Il piano punta a sviluppare un set di competenze delle persone giovani e adulte, soprattutto nell’ambito del verde e della digitalizzazione. E partirà dalla Strategia nazionale per le competenze digitali, elaborata dalla ministra dell’Innovazione Paola Pisano, che si basa su quattro assi di intervento: Istruzione e formazione superiore; Forza lavoro attiva; Competenze specialistiche Ict; Cittadini.
Punti che mirano a implementare le conoscenze digitali tanto nella fascia più giovane quanto in quella adulta e a dare così la possibilità a tutti di formarsi una propria istruzione digitale. Un dettaglio non di poco conto, considerando soprattutto i dati. L’Italia è infatti all’ultimo posto dell’indice Desi (Digital Economy and Society Index) 2020: solo il 42% della popolazione tra i 16 e i 74 anni ha competenze digitali di base o superiori.
Una percentuale davvero esigua, se rapportata alla media Ue del 58% e a quella tedesca, che si attesta sul 70%. Questo dato significa che ben 26 milioni di Italiani non hanno le competenze digitali sufficienti per esercitare la cittadinanza e addirittura 15 milioni navigano in Internet avendo un livello di conoscenze inferiore a quello base.
La nostra classe docente ha oltre 50 anni e conoscenze analogiche che non aiutano in questo mondo digitale. È necessario formare gli insegnanti prima ancora degli studenti
La scuola deve perciò essere la ripartenza della nuova alfabetizzazione digitale, specie in un momento in cui la pandemia ha accelerato la trasformazione digitale, dall’istruzione al lavoro. «È uno strumento che va sfruttato a dovere», segnala Giovanni Biondi, presidente di Indire, istituto che si occupa della formazione del personale docente e analizza le vie migliori per implementare la didattica. Insieme alla digitalizzazione, l’altro obiettivo del Recovery Plan sarà la transizione verde. «Un tema di cui si parla molto», dice Biondi, «ma che bisogna affrontare andando oltre la tenuta stagna delle materie, che sono ormai superate».
Lo dimostra anche la realtà dei fatti. «Prendiamo l’automotive district. Qui ci sono gli impianti di alcune delle aziende più importanti al mondo, come Dallera, Ducati e Ferrari. Quando queste aziende si sono rese conto di avere bisogno di figure nuove, che coniugassero aspetti diversi di settori diversi, hanno creato dei percorsi di laurea completamente nuovi capaci di integrare le competenze delle aziende con quelle della scuola», racconta Biondi.
Il caso evidenzia uno dei mali di cui soffre da tempo il mondo del lavoro italiano, ovvero il mancato collegamento tra università e occupazione. «L’esempio da seguire è quello dell’Istituto tecnico superiore», spiega Biondi, dove è previsto almeno il 30% di ore in azienda e il 50% dei docenti deve provenire dal mondo del lavoro. «Non è un caso, infatti, se ha punte di occupabilità vicine all’80% che arrivano in alcuni casi anche al 100%. I docenti hanno un sapere pratico che permette loro di sapere cosa vuole realmente il mondo del lavoro»…
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