Leggi

«Piano Infanzia senza soldi»

Lapidario il documento conclusivo della Bicamerale: «Il III Piano non può contare su alcun finanziamento»

di Benedetta Verrini

La Commissione Bicamerale per l’Infanzia presieduta da Alessandra Mussolini ha approvato, nella seduta dell’8 febbraio, il documento conclusivo reativo all’Indagine conoscitiva su aspetti dell’attuazione delle politiche a favore dell’infanzia e adolescenza.

Sul documento finale hanno espresso voto contrario Anna Maria SERAFINI (PD) e Sandra ZAMPA (PD).

L’indagine svolta dalla Bicamerale è stata funzionale all’esame, cui è stata chiamata nel mese di novembre, del III Piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva.

La relazione finale, giunta alla fine di una lunga serie di audizioni svolte tra soggetti istituzionali e associazioni del Terzo Settore, isola una serie di temi principali.

Si comincia dal problema della frammentazione di responsabilità sia a livello centrale, sia a livello regionale e locale: in questo quadro, la Commissione raccomanda “l‘opportunità di pervenire ad esempio ad un incisivo intervento di armonizzazione che permetta di integrare il Piano nazionale infanzia con i piani regionali nella stessa materia, attraverso un effettivo processo di coordinamento in sede di Conferenza Stato-regioni, che risulta allo stato attuale ancora piuttosto carente”.
Sarebbe inoltre auspicabile una legge interpretativa dell’attuale normativa italiana in materia di infanzia e adolescenza, che operi un raccordo tra le leggi di riferimento, “in modo da garantire la perfetta integrazione tra gli strumenti normativi esistenti stabiliti dalla legislazione nazionale (Piano nazionale per l’infanzia, Fondo Sociale Nazionale Indistinto, Fondo Nazionale Infanzia limitato alle città riservatarie) e da quella regionale (potestà legislativa esclusiva nelle materie in oggetto, definizione dei piani di zona previsti dalla legge 328 del 2000) al fine di rendere il Piano nazionale per l’infanzia uno strumento incisivo”.

La Commissione ha poi riscontrato la carenza del sistema italiano di raccolta dati in relazione a gruppi di minori particolarmente vulnerabili e nonostante in alcuni casi vi sia un’espressa previsione di legge, come ad esempio per quanto riguarda l’istituzione e l’aggiornamento di banche dati mai attivate (cfr. legge n. 149 del 2001 per la banca dati dei minori dichiarati adottabili).

Il nodo delle risorse e lo “svuotamento” della 285

La Commissione ha potuto verificare direttamente dalle molte audizioni svolte nell’ambito dell’indagine che la questione centrale nella programmazione di efficaci politiche per i minori, consiste nell’individuazione e nella garanzia stabile lungo un arco di tempo pluriennale delle risorse finanziarie da destinare a tali politiche.

Al contrario, invece, il succedersi di diverse leggi in questa materia, ha posto in luce un processo di progressiva erosione delle risorse destinate a finanziare le politiche per l’infanzia e l’adolescenza.

In particolare, la legge n. 285 del 1997, recante «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza», ha istituito il Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, successivamente inglobato al 70 per cento da un unico Fondo Nazionale per le politiche sociali, introdotto dalla legge n. 328/2000, «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali»: è stato così creato un unico fondo indistinto senza vincoli di spesa, demandando alle Regioni la programmazione e la pianificazione nell’ambito della loro esclusiva competenza ed individuando nei Liveas (Livelli essenziali di assistenza) la base comune delle prestazioni sociali per tutto il territorio nazionale.

Poiché la determinazione del Fondo per le politiche sociali era demandato alla legge finanziaria (che almeno fino al 2008 aveva carattere annuale), la caratteristica della triennalità stabilita dalla legge n. 285 del 1997 per il finanziamento del Fondo nazionale per l’infanzia veniva meno.

Su questo punto specifico della definizione delle risorse, ricorda la Bicamerale, è intervenuto nel 2003 il Comitato ONU, il quale ha espresso la sua preoccupazione per il fatto che l’Italia non avrebbe pienamente attuato l’articolo 4 della Convenzione di New York (ai sensi del quale gli Stati Parti si impegnano ad adottare tutti i provvedimenti necessari all’attuazione dei diritti economici, sociali e culturali riconosciuti ai minori) e, in particolare, per il fatto che le politiche dei Governi che si sono succeduti negli ultimi anni non abbiano previsto stanziamenti per l’infanzia e l’adolescenza al massimo livello consentito dalle risorse disponibili.

Suona dunque quasi come una disarmante presa d’atto la conclusione della commissione sulla “questione fondi” nel Piano Infanzia: “Resta il fatto inoppugnabile che il Fondo Nazionale per le politiche sociali, dentro cui è confluito al 70 per cento il Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, è attualmente sceso a 75 milioni di euro e sarà rifinanziato di 200 milioni solo a partire dal 2011. Oltre a ciò, occorre considerare che mentre il primo Piano infanzia relativo agli anni 2000-2002 poteva contare su risorse dedicate e il secondo, per gli anni 2002-2004, sebbene non prevedesse un finanziamento specifico, poteva comunque attingere al Fondo sociale indistinto (che nel 2005 ammontava ad 1 miliardo di euro), il terzo Piano di fatto non può contare su alcun finanziamento adeguato”.

In allegato l’intero documento


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA