Pubblico & Privato sociale

Piano degli interventi sociali, la speedy consultazione

Il Terzo settore «è stato chiamato a discutere il Piano per la prima volta nel pomeriggio stesso della sua approvazione»: una frase elegante, per dire che sul nuovo "Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali per il triennio 2024-2026" il confronto è stato pressoché nullo a dispetto della grande rilevanza che il documento dà alla sussidiarietà

di Sara De Carli

«La Rete della protezione e dell’inclusione sociale ha discusso e approvato il nuovo Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali per il triennio 2024-2026, che contiene al suo interno il Piano sociale nazionale e il Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà»: così si legge sul sito del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, in un comunicato pubblicato il 29 novembre.

Peccato che le parti sociali e le organizzazioni di Terzo settore siano state convocate per la prima e unica volta a discutere di tale Piano il 28 novembre alle 15: ognuno ha espresso le proprie osservazioni sul testo che era stato anticipato per la prima volta solo qualche giorno prima, nella convinzione che si trattasse del primo step del confronto. Due ore dopo invece, dopo l’incontro con gli altri stakeholder della rete, quelli istituzionali (regioni, Anci, Inps), il Piano è stato dato per approvato. Il primo incontro è stato anche l’ultimo. A livello di processo, una “consultazione speedy” per usare un eufemismo: eppure la Rete, nel suo complesso, ha proprio un compito di indirizzo, programmazione e monitoraggio (è scritto pure a pagina 16 del nuovo documento).

Nei fatti, il timing fa pensare più alla spunta di un obbligo che a un confronto autentico, men che meno ad una condivisione di obiettivi e strategie. La delusione serpeggia tra le realtà del Terzo settore, che con eleganza però si limitano ad osservare di essere state «chiamate a discutere il Piano per la prima volta nel pomeriggio stesso della sua approvazione».

Sussidiarietà, tra il dire e il fare

Nel Piano in realtà c’è una grande enfasi sulla sussidiarietà e sul ruolo del Terzo settore. E questo è un bene, senza se e senza ma. La parola sussidiarietà compare 23 volte nelle 198 pagine del documento, l’espressione Terzo settore conta ben 120 occorrenze, privato sociale 8. Di amministrazione condivisa si parla dieci volte, di coprogettazione 39 volte, di co-programmazione 30.

Come anticipato lo scorso 18 novembre da Renato Sampogna, dirigente della Divisione IV della Direzione Generale per la Lotta alla povertà e per la programmazione sociale, durante l’incontro “Pubblico – privato sociale: un’alleanza necessaria” che si è svolto nell’ambito della tre giorni organizzata da Con i Bambini, nel nuovo Piano c’è «un paragrafo esplicito sulle responsabilità condivise tra pubblico e privato». Nella bozza è il paragrafo 1.5, intitolato “principio di sussidiarietà”. Qui si legge che «gli Ets che per vocazione presidiano, come sentinelle, il territorio, intercettandone bisogni e disagi, contribuiscono al benessere delle comunità di appartenenza e, visto il loro ruolo, sono coinvolti nel determinare, unitamente alla PA, politiche pubbliche locali funzionali alle esigenze dei cittadini e della PA medesima. La “buona” capacità di governance degli Ambiti Territoriali Sociali (che sono individuati come la dimensione organizzativa nella quale programmare, coordinare, realizzare e gestire gli interventi, i servizi e le attività utili al raggiungimento dei Leps, ndr) si sostanzia anche nella capacità di evitare ogni indebita forma di sostituzione e/o di delega di funzioni pubbliche agli Ets e ogni strumentalizzazione per garantire piuttosto la piena attivazione di un equilibrato processo di partenariato fra Ets e PA, in maniera uniforme in tutto il Paese». Alla luce dell’evoluzione normativa, si legge ancora, «si può legittimamente pensare che sia terminato il tempo in cui gli Ets progredivano all’ombra delle PA nel ruolo riduttivo loro riservato. Pari dignità e corresponsabilità sono i presupposti dell’amministrazione condivisa».

Si può legittimamente pensare che sia terminato il tempo in cui gli Ets progredivano all’ombra delle PA nel ruolo riduttivo loro riservato. Pari dignità e corresponsabilità sono i presupposti dell’amministrazione condivisa

Da Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali per il triennio 2024-2026

Chiarezza sulle responsabilità

«Il ruolo del Terzo settore e della sussidiarietà nel nuovo Piano viene fortemente esaltato, ovviamente non possiamo che esserne felici», osserva Antonio Russo, portavoce dell’Alleanza contro la povertà. «Ma attenzione, perché il processo di amministrazione condivisa – avviato a spanne in circa 1.500 Comuni d’Italia – non basta auspicarlo: affinché sia realmente esercitato ci vuole tempo e ci vuole una formazione delle persone e un accompagnamento dei processi. Non possiamo pensare che l’Italia sia tutta uguale, sia nella Pa sia negli Ets, che ovunque ci siano già le disponibilità e le competenze per fare quella rivoluzione che è la coprogrammazione. Inoltre i ruoli e le responsabilità di uno e dell’altro devono essere chiari, perché sulla povertà assoluta ad esempio è lo Stato che ha la responsabilità di rispondere al bisogno delle persone, anche – speriamo – con il ripristino di una misura universale contro la povertà. Poi c’è il ruolo degli enti che tutti i giorni stanno accanto a chi è in povertà assoluta, ma sono due responsabilità diverse, da non confondere», annota.

Non possiamo pensare che l’Italia sia tutta uguale, sia nella Pa sia negli Ets e che ovunque ci siano già le disponibilità e le competenze per fare quella rivoluzione che è la coprogrammazione

Antonio Russo, portavoce dell’Alleanza contro la povertà

Una analisi puntuale

Nei contenuti, invece, del Piano convince soprattutto il grande lavoro di analisi che è stato fatto: come dice il titolo di un paragrafo è «un’analisi fondata su basi di conoscenza». Nelle azioni tratteggiate c’è continuità rispetto al piano precedente. Si prosegue nella direzione della definizione e attuazione di livelli essenziali delle prestazioni che sono garanzia dell’esigibilità di un diritto. Qualcosa in più forse si poteva fare rispetto al monitoraggio del Piano scorso, non solo rispetto alle risorse investite ma anche ai risultati raggiunti e alle difficoltà emerse, per esempio quelle riscontrate in tanti territori per dare attuazione al Leps della residenza anagrafica fittizia per i senza dimora. «Riconosciamo che è stato fatto un lavoro importante, ci sono dati inediti, sappiamo da dove partiamo. Sono anche indicate alcune piste di lavoro interessanti, che qualora andassero a compimento avviano di fatto un processo strutturale vero», continua Russo.

I Piani in realtà sono due, il Piano Sociale Nazionale e il Piano Nazionale degli interventi di contrasto alla povertà. Per il primo, le priorità indicate dal Piano sono articolate su tre assi: azioni di sistema (con il rafforzamento dei Punti Unici di Accesso; lo sviluppo delle équipe multiprofessionali per una presa in carico multidisciplinare; la cartella sociale informatizzata); gli interventi rivolti alle persone di minore età (con la previsione di destinare il 50% delle risorse del Fondo Nazionale per le politiche sociali agli interventi per le persone di minore età); i servizi e gli interventi connessi all’implementazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali (Pippi, potenziamento degli interventi di sostegno alla genitorialità in situazione di vulnerabilità, dimissioni protette). Sul secondo, Russo ricorda che «Assegno di inclusione sociale-Adi e Supporto alla formazione e lavoro-Sfl non stanno rispondendo adeguatamente a una domanda così alta di persone in difficoltà: la platea intercettata è la metà di quella intercettata dal reddito di cittadinanza».

Nuona parte del Piano nel suo complesso si fonda sulle risorse del Pnrr, che finiranno: continuiamo ad affrontare le emergenze ordinarie con delle risorse straordinarie, e questa è una debolezza

Antonio Russo

In generale Russo osserva che «buona parte del Piano nel suo complesso si fonda sulle risorse del Pnrr, che finiranno: continuiamo ad affrontare le emergenze ordinarie con delle risorse straordinarie, e questa è una debolezza». Un secondo tema è la tanto auspicata saldatura tra la dimensione sociale e quella sanitaria, «che ancora manca, speravo in un passaggio in più su questo, che non ho trovato».

La parte del Piano che riguarda l’infanzia

Lato infanzia e minori, Liviana Marelli, membro dell’esecutivo nazionale di Cnca con delega alle politiche minorili, giovanili e per le famiglie, muove due rilievi al nuovo Piano. Il primo è che «non c’è nulla sul sistema dell’accoglienza residenziale per i minorenni fuori famiglia, si dice solo che le Regioni dovrebbero ratificare le linee di indirizzo. C’è la volontà di introdurre questo nuovo Leps sull’affido ed è positivo, ma è ideologico pensare che tutto il tema possa essere risolto dall’affido: è uno strumento bellissimo, ma non basta e a volte comunque la comunità è la risposta più appropriata. Escludere completamente questo “pezzo” dal pensiero complessivo sulle politiche per l’infanzia mi sembra miope».

L’intenzione di introdurre un nuovo Leps sull’affido prevede la costituzione di un servizio di affidamento familiare/centro affido dedicato in ogni ATS, dimensionato sulla base del fabbisogno territoriale.

Gli ultimi dati resi noti nel Quaderno della Ricerca Sociale n. 61, che fotografa la situazione al 31 dicembre 2023, dicono peraltro che in Italia i minorenni presi in carico sono 42mila, di cui 26mila in comunità residenziali.

«Esiste un diritto alla qualità dell’accoglienza anche per loro, compresi i Msna. Il sistema dell’accoglienza residenziale non è l’ultima ruota del carro ma un pezzo del sistema delle politiche di protezione e tutela dell’infanzia», continua Marelli.

C’è la volontà di introdurre un nuovo Leps sull’affido ed è positivo, ma è ideologico pensare che tutto il tema possa essere risolto dall’affido. Il sistema dell’accoglienza residenziale non è l’ultima ruota del carro ma un pezzo del sistema delle politiche di protezione e tutela dell’infanzia

Liviana Marelli, Cnca

Secondo punto, i careleavers con cittadinanza non italiana: «Benissimo che nel Piano si sia previsto di dare continuità, a valere sul PN Inclusione, all’accompagnamento dei neomaggiorenni careleavers, ma resta il vulnus che è stato più volte segnalato: pensare solo a chi vive fuori dalla famiglia di origine sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria significa escludere i neomaggiorenni di origine straniera dall’accesso al fondo e dall’accompagnamento».

Foto di Adi Goldstein su Unsplash

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