Non profit
Pialla e scalpello per segare la mafia
Utilizzando i fondi della legge 216, sono nate botteghe di artigianato per ragazzi che avevano abbandonato la scuola.
Il cestaio, l?impagliatore di sedie, il maniscalco. Dove sono finiti questi vecchi artigiani? Hanno chiuso bottega da un pezzo, ma non hanno appeso gli arnesi al chiodo. Anzi, quegli arnesi li hanno ceduti volentieri ai giovani, mettendo a disposizione la loro esperienza e la loro ?maestria?. Succede in Calabria. A Rossano, a Castrovillari, a Reggio. In cattedra ci stanno loro, i vecchi artigiani; sui banchi invece i giovani a rischio, minori che hanno conosciuto la strada e il pericolo di diventare ?manovali? della mafia, ragazzi che non hanno completato neanche la scuola dell?obbligo e di cui le famiglie non sembrano preoccuparsi.
Tutto comincia con l?emanazione della legge 216/91 che elargisce fondi per ?interventi a favore dei minori a rischio di coinvolgimento in attività criminose?. E la Calabria, manco a dirlo, conta il primato di giovani a rischio ed è una delle regioni italiane che più si è affezionata a questa legge. Sul modo di tirare fuori i minori dalla strada si sta impegnando l?Auser, associazione nazionale che si occupa della terza età e delle risorse che gli anziani possono spendere nelle attività sociali. E contro proprio il rischio criminalità gli anziani dclla Calabria si sono messi a fare scuola di artigianato.
A Rossano sono due i corsi realizzati nell?arco di quattro anni, grazie ai finanziamenti della legge 216/91. Il primo si è concluso con un bilancio abbastanza positivo: due ragazzi su sei sono riusciti a trovare lavoro come falegname ed elettricista e hanno recuperato i loro rapporti con la famiglia. Il secondo laboratorio, organizzato dall?Auser con la collaborazione dell?associazione locale ?Al servizio della città?, coinvolge una decina di ragazzi, tra i 14 e i 18 anni, in corsi di restauro di mobili e corsi di intaglio di legno, pietra e marmo.
«Gli anziani artigiani sono entusiasti di queste iniziative», afferma Vito Saccone, presidente dell? associazione ?Al servizio della città?, «si dedicano anima e corpo a questi ragazzi, per i quali sono diventati anche maestri di vita, oltre che maestri di lavoro, arrivando a instaurare con loro un rapporto di complicità e di rispetto reciproco».
Si studia anche storia del mobile
I dieci ragazzi imparano così l?arte di intagliare e restaurare i mobili, ma non solo. Durante il corso, un architetto insegna loro la storia del mobile, gli stili che si sono succeduti nei secoli. «Le attività del laboratorio», continua Saccone, «non rappresentano soltanto un modo di recuperare ragazzi a rischio criminalità, ma anche una riscoperta della peculiarità della nostra cultura e delle nostre tradizioni». Già, perché Rossano si distingue dalle altre cittadine calabresi. Stretta tra Crotone e Cirò a sud e Cassano a nord, zone con una forte presenza mafiosa, Rossano invece non ha visto emergere famiglie e clan potenti a tal punto da mettere a rischio la sua sicurezza.
Piuttosto ha mantenuto la fama di ?Città bizantina? della Calabria o, come è spesso definita, la ?Ravenna del sud?, con le sue trentuno chiese e un patrimonio architettonico impareggiabile. Si respira dunque cultura e storia, ma il cinquanta per cento della popolazione attiva è disoccupata.
«Quello che facciamo con l?Auser è una goccia nel mare», conclude Saccone, «ma è sufficiente a creare le basi per uno sviluppo occupazionale diverso, in sintonia con la nostra storia. E poi, ci incoraggia ad andare avanti la volontà che i ragazzi mettono ad imparare i mestieri che sono stati dei loro padri e dei loro nonni».
Anche a Castrovillari si tenta di recuperare l?artigianato che rischia di scomparire, attraverso questo ?passaggio di consegne? ideale dagli anziani ai giovani. Ma qui l?Auser, prima di avviare l?apprendistato, ha pensato di creare un vero archivio storico dei mestieri antichi, con una lunga ricerca che ha impegnato dieci tra ragazzi e ragazze provenienti da famiglie disagiate e segnalati dai servizi sociali del Comune.
Il presidente dell?Auser locale, Ugo Rizzuti, parla con entusiasmo di questa esperienza, realizzata anch?essa grazie ai fondi della legge 216/91. «La catalogazione dei mestieri è stata fatta direttamente dai ragazzi, utilizzando il computer e i libri di storia locale», racconta, «ma la fase più interessante è stata quella delle visite alle botteghe degli artigiani che sono rimaste ancora in attività». Confrontandosi con il lavoro degli anziani del paese, i giovani hanno scoperto le loro attitudini e hanno deciso il mestiere da imparare. Gli stessi artigiani hanno poi ?trasferito? le botteghe nel laboratorio per insegnare le tecniche e i segreti della loro arte.
Una speranza nel Parco del Pollino
È così che stanno nascendo a Castrovillari giovani cestai, falegnami, impagliatori di sedie, fabbri, vasai. E tra le ragazze, nascono invece giovani promesse nell?arte di dipingere la ceramica e di creare piccoli oggetti in miniatura, fatti di pasta di sale colorata. Ma, proprio perché perduti, questi mestieri possono dare sbocchi lavorativi dignitosi? «Non dimentichiamo», continua Rizzuti, «che Castrovillari si trova al centro del Parco nazionale del Pollino. Dunque in un luogo privilegiato dal punto di vista delle possibilità turistiche e della vendita di prodotti artigianali. Se il Parco è per noi un patrimonio ambientale importante, è anche una risorsa, una occasione per creare lavoro e per impedire la fuga massiccia dei nostri giovani dalla loro terra».
Come dire, prima di emigrare proviamo a rispolverare le tradizioni lavorative della Calabria, a fare innamorare i giovani di un artigianato che, lontano dall?essere morto, può rappresentare una carta in più da giocare nell?era della modernità e della tecnologia a tutti i costi.
In Calabria il vecchio resta una risorsa
A Reggio Calabria, gli anziani dell?Auser si sono trovati di fronte a una situazione sociale più drammatica. In uno dei pochi centri sociali della ?città sullo Stretto?, dentro uno dei quartieri più popolari ed esposti al rischio criminalità, il rione Sbarre, i servizi sociali hanno raccolto circa quaranta minori (il più grande ha sedici anni). Figli di carcerati o di pregiudicati, figli di disoccupati, ragazzi che provengono da famiglie numerose e povere, adolescenti che non hanno neanche ottenuto la licenza media. A Reggio la dispersione scolastica non riguarda solo i paesi interni della provincia, ma è una realtà ben evidente anche in città. E Reggio, punta estrema della Calabria, convive con una cultura mafiosa che è diventato il ?collante? del tessuto associativo, a tutti i livelli. Terra di insediamento storico della mafia, luogo dove è nata e si è evoluta.
«Ci rendiamo conto di quanto sia difficile, anzi quasi impossibile, ottenere un cambiamento radicale della mentalità», afferma Serafino Pesce, presidente regionale Auser, «ma non è impossibile invece far conoscere ai nostri ragazzi che rischiano di rimanervi imbrigliati un altro orizzonte, quello della legalità, del lavoro onesto e dignitoso».
Anche nel centro sociale di Sbarre i ragazzi imparano i mestieri. Falegnami, fabbri, elettricisti, muratori, molti già in pensione, alcuni ancora in piena attività, si prestano volentieri a diventare testimoni di una parte della Calabria che non si è piegata a quella cultura. Per questo ?utilizzano? la loro età. Perché un principio al Sud è rimasto comunque forte e incrollabile, a dispetto dei tanti drammi sociali: è il principio per cui il vecchio è una risorsa, un libro aperto sulla storia, a lui si guarda con rispetto e riverenza, come fosse il nume tutelare di ogni famiglia.
Sette anni dopo. E ora la 216 finanzia anche servizi per minori immigrati.
Dal 1991, anno di promulgazione della legge 216 su ?Primi interventi in favore dei minori a rischio di coinvolgimento in attività criminose?, al 1996 (i dati disponibili si fermano a quest?anno) di strada ne è stata fatta molta.
E i numeri lo dicono. Sono 287, sui 984 presentati, i progetti ammessi al finanziamento. Di questi ne sono stati conclusi 60, quelli ?in itinere? sono 67, i progetti non avviati sono 21. I rimanenti sono sospesi, per difficoltà di ordine politico (crisi delle amministrazioni locali) o per lungaggini burocratiche che ne hanno rallentato i tempi di attuazione. La legge 216 ha nguardato finora alcuni Comuni delle Regioni del Mezzogiorno.
Tra queste, la Sardegna è la regione con il maggior numero di progetti non avviati (38 per cento), seguita dalla Puglia (33 per cento), dalla Sicilia (31 per cento), dalla Campania (29 per cento); in coda, con un dato incoraggiante, la Calabria, con il numero più basso di progetti non avviati (5 su 39) e quindi con il maggior coinvolgimento nell’attuazione della legge. « Va sottolineato il valore fondamentale della scommessa sottesa a questa legge», spiega la dottoressa Donatella Caponetti, direttore della divisione ?Interventi e trattamenti? dell?Ufficio centrale della gius tizia minorile del ministero di Grazia e Giustizia. «Ossia non quella di risolvere nelle regioni meridionali il grave problema della devianza minorile, ma piuttosto quella di stimolare i Comuni di alcune realtà meridionali, dove più gravi sono i disagi, a trovare le risposte al degrado economico e sociale in cui vive una fetta considerevole di giovani». E il bilancio, infatti, può dirsi abbastanza positivo. I Comuni hanno affinato le loro capacità progettuali, sì è affermato il principio della sinergia fra le istituzioni e la rete dei servizi (associazioni e strutture di accoglienza) della comunità, sono state create nelle aree interessate concrete opportunità lavorative e significativi processi di integrazione sociale per i giovani a rischio.
Il finanziamento previsto ogni anno per la legge 216/91 è di dieci miliardi. Per il 1998 ci sono alcune novità; tra queste la possibilità di finanziare servizi rivolti a minori immigrati, dì realizzare i cosiddetti ?centri di mediazione giovanile?, rivolti soprattutto alla fascia adolescenziale della popolazione, di creare servizi di informazione e orientamento anche per le famiglie.
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