Welfare

Piacenza: nasce il giornale del carcere

I detenuti che vi lavorano sono di varie nazionalità e per realizzarlo rinunciano all'ora d'aria

di Gabriella Meroni

E? uscito a Piacenza il numero zero del giornale ?SOSTA FORZATA?, risultato di un laboratorio di giornalismo finanziato dall?Assessorato alla Formazione del Comune di Piacenza e condotto da Carla Chiappini giornalista iscritta all?Ordine di Bologna. Per il momento solo 8 pagine formato tabloyd, un redazionale scritto dagli stessi detenuti, l?editoriale a firma del direttore del carcere Caterina Zurlo e alcuni temi precedentemente scelti e discussi: scuola e cultura in carcere, stranieri in carcere, la salute e la firma del protocollo tra Conferenza Regionale Volontariato Giustizia, PRAP e Regione Emilia Romagna. La redazione è composta di quattordici detenuti di varie nazionalità: italiana, bulgara, albanese, tunisina e palestinese che lavorano ogni giovedì dalle ore 13,00 alle 15,00, rinunciando all?ora d?aria. Il giornale è uscito in 4.000 copie come supplemento al settimanale diocesano ?Il Nuovo Giornale?, grazie al prezioso contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano. E? la prima volta che la Casa Circondariale piacentina ?esce? con un proprio foglio stampato. Seguono alcuni passi del redazionale. PERCHE? SOSTA FORZATA. ?SOSTA FORZATA, ? nasce dal nostro entusiasmo e dal consenso del direttore dottoressa Zurlo che, pur con uno sguardo alla sicurezza, ha messo a disposizione della redazione detenuta spazi e mezzi per conseguire questo traguardo. Sosta Forzata nasce da un?esigenza; così come è stato inventato il martello per conficcare i chiodi. Un giornale del carcere perché nessun uomo deve essere dimenticato. Vogliamo che lo leggano in particolare i giovani. Essi potranno costruirsi una loro idea del disagio sociale, perché il carcere non può essere definito soltanto un?area di sosta, ma rappresenta e ha sempre rappresentato un disagio. Vogliamo comunque che sia diretto a tutti gli uomini di buona volontà, affinché non considerino l?ex detenuto come una minaccia, ma lo osservino senza quei pregiudizi che determinano l?incomprensione. Il giornale non vuole essere una richiesta di pietà, né uno strumento per suscitarla, né tantomeno una denuncia di torti subiti. Vuol essere una finestra aperta con l?esterno, con il mondo, con la società che è stata offesa. Chi scrive è perfettamente conscio di questo. Il rancore non può essere un sentimento pacificatore. Serve mutua comprensione anche verso chi ha rotto il patto societario, verso chi non ha avuto la forza di adeguarsi alle regole?


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