Volontariato

Philippe Daverio: Il volontariato è il cuore del Made in Italy

Il critico d’arte, ospite della rassegna che va in scena a Lucca dal 14 al 17 aprile, spiega come «è un espressione più pura dell’italianità. La sfida dell’oggi è tutta nella dicotomia tra questa tradizione del dono e uno Stato che sembra non rendersi conto di questa miniera di ricchezza»

di Philippe Daverio

La questione è abbastanza semplice. Noi siamo tutti convinti che fundraising e charity siano cose inglesi, per via delle parole con cui vengono identificate. Ci dimentichiamo la cosa fondamentale: a metà del ‘400 a Milano fu fatta la Festa del Perdono come raccolta fondi per la costruzione della Ca' Granda e Papa Pio II Piccolomini diede un’indulgenza per chi partecipava.

E allora in realtà la tradizione del fundraising non è anglosassone. Nasce proprio in fondo alla nostra civiltà. Così come ci dimentichiamo che la Croce Rossa, che è stata fondata alla fine del XIX secolo, in realtà aveva un’antenata che era la Misericordia fiorentina e che funziona tutt’ora con migliaia e migliaia di volontaria fu fondata a metà del ‘200.

Nell’ancoramento atavico dell’italianità la partecipazione del singolo ai destini della comunità è una sorta di dato stabile che nasce proprio dalla storia del borgo italiano. Che è quella di una coesistenza e di una passione dell’aiutarsi l’un l’altro. Il volontariato è una delle caratteristiche italiane più diffuse. Non per niente tutt’ora il numero di volontari che non agiscono con denaro ma col proprio lavoro nel campo sia interno assistenziale che internazionale è, in proporzione, il più elevato d’Europa. L’Italia ne dovrebbe andare più fiera e troppo spesso se ne dimentica. Certo l’origine è mista e corrisponde fino in fondo a ciò che è l’Italia: una parte è legata alla partecipazione del mondo della Chiesa una parte alla partecipazione del mondo del borgo. In questo incrocio fra tradizione ecclesiale e civica sta ancora oggi la forza che spinge ancora oggi gli italiani a partecipare. Ecco perché sono pronti a dare e a lavorare.


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Ed è un po’ un peccato che lo Stato non se ne sia ancora reso conto. Certo adesso c’è la nuova normativa che comincia a immaginare la prima defiscalizzazione. È un primo passo avanti. Però tra questa normativa e quella americana la distanza è abnorme. Da noi entra in una quota sulla dichiarazione fiscale che è una sorta di epsilon rispetto alla dimensione che possono assumere le donazioni nel mondo anglosassone. Laddove siamo grandiosi e gloriosi è nel volontariato umano, quello fisico non economico. Lì battiamo tutti. E forse anche qui una presa di coscienza maggiore dell’importanza di questo settore nella nostra vita pubblica andrebbe presa in alta considerazione.

Calcolando anche che non si deve pensare che il volontariato sia del tutto privo di coinvolgimenti economici. Si può essere pagati molto meno che nel lavoro d’ufficio ma non vigono le regole drammatiche del mercato del lavoro italiano, innegabilmente il più arretrato del mondo. Viviamo un momento di grandissimo disordine prospettivo, cioè il mercato del lavoro è qualcosa che possono capire solo esperti di alchimia medioevale e il rapporto tra sindacato e impreso riguarda ancora i rapporti del feudalesimo. Siamo totalmente fuori dalla realtà contemporanea europea.

In questa potente dicotomia tra un mondo che ha una volontà partecipativa storica, fisiologica e cromosomica e una mondo, quello del lavoro, in parte anchilosato si pone la questione di oggi. E la funzione del volontariato diventa sempre più importante.

Philippe Daverio terrà al Festival Italiano del Volontariato una prolusione venerdì 15 aprile dal titolo “La città bella” in collaborazione con il Banco Popolare per la serie “Incontro Popolare”

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