Politica & Ambiente
Pfas, dopo la Francia, l’Italia batta un colpo
Farà qualcosa il Parlamento italiano, dopo la messa al bando degli inquinanti eterni, le perfluoroalchiliche, in Francia? A sollecitare una presa di posizione non sono solo gli ambientalisti, ma anche la Regione Veneto. Oggi c'è la consapevolezza che queste sostanze sono diffuse ovunque: «Se si trovano anche nei fanghi di depurazione, significa che arrivano dalle nostre case, non solo nella zona rossa. Deve aumentare la consapevolezza del problema a tutti i livelli», dice Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto
Dalla Francia arriva un segnale importante per chi, in Italia, chiede da anni la messa al bando dei pfas, gli inquinanti eterni. In Veneto se ne è iniziato a parlare dieci anni fa, con la scoperta della contaminazione provocata dagli scarichi della fabbrica Miteni, che interessa una falda da cui dipendono fino a 350.000 persone, nelle province di Vicenza, Verona, Padova e Rovigo, inconsapevolmente esposte per decenni, attraverso l’acqua potabile e il cibo prodotto localmente (ne abbiamo parlato qui: https://www.vita.it/sos-pfas-la-difficile-strada-della-messa-al-bando/).
Greenpace sta raccogliendo i dati italiani
«Il provvedimento votato in queste ore dall’Assemblé nationale vieta l’uso delle sostanze perfloroalchiliche in settori industriali dove esistono già alternative, come nella cosmetica», afferma Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia, che sottolinea: «Oltre a quello francese, c’è il caso della Danimarca, dove è stato vietato l’uso nei contenitori alimentari. In Italia non si vedono provvedimenti di questo tipo all’orizzonte. Eppure siamo teatro di alcune gravissime contaminazioni, non solo in Veneto. I dati del 2007 dello studio Perforce indicavano che, tra i maggiori fiumi europei, il Po è il più contaminato da Pfas, più di Danubio, Senna, etc. Nel nostro Paese, a macchia di leopardo, ci sono criticità ovunque». In questi mesi Greenpeace Italia sta facendo un lavoro di raccolta dei dati, per ottenere evidenze circa la presenza nell’acqua potabile. «I dati in Piemonte e Lombardia, per esempio, sono tutt’altro che rassicuranti. Anche quelli che abbiamo ottenuto di recente sulla Toscana svelano elevati livelli di contaminazione in numerosi corsi d’acqua vicini a grandi distretti industriali. Un legislatore attento agevola e favorisce la conversione a produzioni che siano a minore impatto ambientale. Il governo italiano, invece, continua a prendere sottogamba questa contaminazione, esponendo parte della popolazione al rischio di grandi patologie».
Intanto in Veneto, Legambiente
Lo scorso 12 marzo il Consiglio regionale del Veneto, approvando all’unanimità una risoluzione con cui aderisce al manifesto di Greenpeace e altre realtà della società civile europea per chiedere la messa al bando dei Pfas #BanPfas). Per Ungherese «è un chiaro messaggio politico, la richiesta al governo di varare in tempi brevi un provvedimento che vada verso l’eliminazione dell’uso e della produzione di queste molecole».
Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto, commenta: «Nella nostra regione viviamo una situazione particolare, ma la diffusione di Pfas ormai è ubiquitaria e bisogna alzare il livello di attenzione. Per questo gli impegni istituzionali, a livello regionale, francese, europeo, sono buone notizie, utili per chiedere maggiore attenzione del Parlamento italiano, finora assente». Basti pensare che ormai queste sostanze si trovano anche nei fanghi di depurazione, cioè arrivano dagli scarichi delle nostre case, non solo nella zona rossa in Veneto. «È un problema che riguarda tutti e dobbiamo essere molto più consapevoli», prosegue Lazzaro. «In effetti a livello europeo già sono previsti impegni importanti, passi in avanti sottovalutati. Nel nuovo Regolamento sugli imballaggi, per esempio, che non è ottimale per riciclo e riuso, si prevede però l’eliminazione dei Pfas per le confezioni degli alimenti. Anche il nuovo Regolamento Ue sui gas fluorurati, che si usano per la refrigerazione e il condizionamento, affronta la questione. Rimangono tuttavia casi isolati, mentre la questione va affrontata in modo organico. Serve una normativa non solo per porre limiti di presenza nelle acque potabili, ma anche per facilitare l’uscita dalla produzione, altrimenti la messa al bando non può avere effetto. Cercare, analizzare, porre dei limiti, fare bere acqua pulita alle persone è il primo passo, ma il problema è più grande di quello che abbiamo finora descritto».
Nelle foto (Ufficio Stampa Greenpeace/Francesco Alesi/LaPress), manifestazione Greenpeace a Venezia nel 2017.
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