Ambiente e salute

Pfas, al processo di Vicenza parlano le mamme

È in corso a Vicenza il processo sull'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche della falda che forniva acqua potabile a 350mila persone. La vicenda, dice l'avvocato di Legambiente, «è un laboratorio di diritti ambientali». La società civile ha trovato la forza di affrontare un problema enorme e invisibile, che non fa notizia. Ed è grazie al sostegno dell'opinione pubblica che la Procura ha rinviato a giudizio quindici manager e due aziende. In prima linea il gruppo instancabile di madri

di Elisa Cozzarini

«Non è stato facile raccontare i propri problemi di salute, e famigliari, le proprie preoccupazioni, in un’aula di tribunale. Ma bisognava farlo, per far crescere la consapevolezza dei rischi a cui la collettività è esposta, a causa della presenza di Pfas in ogni aspetto della vita quotidiana», dice Cristina Cola, portavoce del gruppo Mamme NoPfas. In molte si sono costituite parte civile al processo in corso alla Corte d’Assise di Vicenza per accertare la responsabilità dell’inquinamento dell’acqua da sostanza perfluoroalchiliche, gli interferenti endocrini responsabili di gravi patologie (leggi l’intervista all’endocrinologo Luca Chiovato al link: https://www.vita.it/lendocrinologo-cosi-i-pfas-avvelenano-il-nostro-corpo/), tra le province di Vicenza, Verona e Padova. «Al di là delle patologie, abbiamo spiegato cosa si prova sapendo di avere sostanze estranee nel corpo, sapendo che le hanno i nostri figli. Sono pensieri difficili da sopportare e da condividere».

Presa di coscienza

La contaminazione della falda, che interessa un bacino di 350mila persone, ha radici lontane. Nel 1965 a Trissino, in provincia di Vicenza, viene fondata la Rimar, acronimo per Ricerche Marzotto, che produce sostanze chimiche usate per impermeabilizzare tessuti e pelli: sono i precursori dei Pfas. Nel 1988 l’azienda viene acquisita da Enichem e Mitsubishi ed è ribattezzata Miteni. Nel 2009 viene rilevata, all’incredibile prezzo di 1 euro, dall’International Chemical Investors Group – Icig, dato che il vero costo sarebbe stato quello della bonifica ambientale. Dalle indagini del Nucleo operativo ecologico – Noe di Treviso, è emerso che più volte, tra il 1990 e il 2009, Miteni aveva valutato lo stato di inquinamento del sito e cercato possibili soluzioni per contenere l’inquinamento, senza però mai comunicare i risultati dei propri accertamenti agli enti competenti.

Solo nel 2013, uno studio realizzato dal Cnr e Arpa Veneto per il ministero dell’Ambiente ha portato alla luce la notizia dell’inquinamento. E nel 2014 l’Istituto superiore di sanità – Iss ha fissato per la prima volta dei limiti per le sostanze perfluoroalchiliche nelle acque potabili. «In quel momento, il problema non era conosciuto. Gli stessi medici di famiglia e il personale sanitario erano impreparati a rispondere ai dubbi dei pazienti. Il dottor Vincenzo Cordiano, che metteva in guardia sui pericoli per la salute, è stato sottoposto a procedimento disciplinare. E noi ambientalisti, che cercavamo di creare occasioni per approfondire assieme a Medici per l’Ambiente – Isde, venivamo accusati di allarmismo», racconta l’avvocato Enrico Varali, difensore di Legambiente e tra i fondatori del circolo Perla Blu di Cologna Veneta, parti civili nel processo di Vicenza.

Mamme in campo

Quando, con il piano di sorveglianza sanitaria intrapreso dalla Regione Veneto, sono stati trovati valori altissimi di Pfas nel sangue dei ragazzi della zona rossa, la più contaminata, le madri hanno reagito e, dal basso, si è formato un grande movimento cittadino che chiedeva acqua pulita e giustizia. «Nell’agosto del 2018 abbiamo organizzato un presidio davanti alla Procura di Vicenza, per incoraggiare i magistrati a portare avanti le indagini e aprire un procedimento penale», ricorda Cristina Cola. «Facevamo turni, eravamo in tanti e molti ci portavano da mangiare e da bere, per sostenerci. La gente ci appoggiava, non ci sentivamo soli. Stavamo dimostrando che c’era interesse da parte della popolazione ad andare a fondo, accertare le responsabilità».

Poche settimane dopo, la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio di quindici manager di Miteni, appena dichiarata fallita, Icig e Mitsubishi per i reati di inquinamento ambientale, avvelenamento di acque e disastro ambientale innominato, oltre che per reati fallimentari.


«Come mamme, abbiamo deciso di costituirci parte civile. Era l’unico modo per essere parte attiva del procedimento. Abbiamo fatto campagne di raccolta fondi per pagare i consulenti. Per molte di noi è stato e continua a essere un grande impegno, che toglie tempo a lavoro e famiglia, ma lo facciamo perché è nostro dovere. Ed è giusto che noi, i più contaminati, ci mettiamo a disposizione della scienza perché si possano studiare le conseguenze di queste sostanze nell’organismo umano», prosegue Cola. Tra i consulenti delle mamme, è stato chiamato anche il professor Philippe Grandjean, della University of Southern Denmark, tra i massimi esperti di Pfas al mondo. «Quel che abbiamo capito, in questi anni, è che siamo noi a doverci prendere cura del nostro territorio, perché non sempre le autorità preposte lo fanno. Credo che questa consapevolezza sia cresciuta anche a livello generale». Ma le iniziative di sensibilizzazione continuano, per non far scemare l’interesse per il problema: di recente le mamme si sono trovate nelle piazze portando banchetti di fiori e piante. «È un modo per dire che ci siamo ancora. C’è bisogno di farsi vedere, per continuare a combattere sostanze invisibili, incolori, inodori e insapori. La nostra è una lotta che non fa notizia, anche perché va contro gli interessi dell’industria».

In attesa della sentenza

La sentenza di primo grado potrebbe arrivare entro l’anno. Se l’inquinamento e il luogo da cui ha avuto origine non sono in discussione, la difesa degli imputati punta sul fatto che non sarebbero stati consapevoli della pericolosità dei Pfas e sulla mancanza di limiti nelle acque, fino a pochi anni fa. «Abbiamo ottenuto che si valuti non solo la responsabilità dei manager, ma anche quella delle aziende, che sicuramente hanno la disponibilità economica per rispondere a un danno ambientale così pervasivo. È già un grande risultato», commenta Varali. «Siamo di fronte a uno dei casi di inquinamento ambientale più importanti in Italia, perché interessa un numero elevatissimo di persone: quelle servite dalla falda, ma potenzialmente anche tutte quelle interessate dalla filiera agroalimentare».

Alla Corte d’Assise di Vicenza

Varali osserva che, nel giro di pochi anni, la vicenda Pfas ha fatto maturare nella società civile consapevolezza e forza nell’affrontare problematiche ambientali. Se il processo è partito, infatti, è stato grazie alla pressione dell’opinione pubblica. E negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi e le pubblicazioni scientifiche. Resta aperta la questione di chi paga la bonifica del sito, dopo il fallimento di Miteni.

Puntata n. 2

Le foto sono tratte dal gruppo Facebook Mamme NoPfas

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