Inquinanti eterni
Pfas, a Vicenza il processo si avvia a chiusura
In Veneto si sta concludendo il processo Miteni - Pfas, il primo per contaminazione da sostanze per- e polifluoroalchiliche in Europa. La Procura ha chiesto la condanna per nove dei quindici imputati, per avvelenamento delle acque potabili, disastro innominato, inquinamento ambientale e bancarotta. La società civile vuole giustizia e pretende il rispetto del diritto alla salute per le persone che hanno subito (e continuano a subire) le conseguenze di uno dei casi più gravi di inquinamento ambientale in Europa
![](https://www.vita.it/wp-content/uploads/2025/02/presidio-pfas.jpg)
È entrato nella fase finale il processo Miteni – Pfas, sull’inquinamento da sostanze per- e polifluoroalchiliche della falda che forniva acqua potabile a 350mila persone, tra le province di Vicenza, Verona e Padova. Davanti alla Corte d’Assise di Vicenza, la Procura ha chiesto la condanna per un totale di 121 anni e sei mesi solo per nove dei quindici imputati, ex dirigenti e quadri dell’azienda Miteni di Trissino e delle multinazionali Mitsubishi e Icig che ne sono state proprietarie. L’accusa è di avvelenamento da sostanze Pfas delle acque potabili, disastro innominato, inquinamento ambientale e bancarotta.
La prima sentenza sui Pfas in Europa
Sarà il primo processo sulla contaminazione da Pfas ad arrivare a sentenza, in Europa, mentre negli Usa nel 2010 3M, l’azienda dei post-it, ha pagato 850 milioni di dollari di risarcimento (lo abbiamo raccontato qui: https://www.vita.it/pfas-ecco-come-ci-sono-entrati-nel-sangue/). A Vicenza, il pm Paolo Fietta lo ha accostato ai casi Eternit, ThyssenKrupp e Total, ma con una differenza: le sostanze per- e polifluoroalchiliche, note anche come “inquinanti eterni” per la loro indistruttibilità e persistenza, mettono a rischio non il singolo ma la collettività.
L’inquinamento della falda, che deriva dagli scarichi in acqua e nel terreno dello stabilimento ex Miteni, è venuto a galla nel 2013, grazie a uno studio realizzato dal Cnr e Arpa Veneto per il ministero dell’Ambiente. Ma i dirigenti dell’azienda, da anni, erano a conoscenza della pericolosità dei Pfas per la salute e non hanno fatto nulla per evitare la contaminazione: è quanto ha dimostrato la Procura nella requisitoria di giovedì 13 febbraio. Le richieste di assoluzione riguarderebbero i vertici che, pur sapendo, non erano in grado di incidere sulle scelte aziendali.
La voce della società civile
Dopo quasi quattro anni dall’inizio del processo, c’è grande attesa per la sentenza, da parte della società civile. Venerdì 7 e sabato 8 febbraio, le Mamme no Pfas, il circolo Legambiente Perla Blu di Cologna Veneta e molti altri gruppi, associazioni e cittadini si sono dati appuntamento per un presidio non stop, giorno e notte, davanti al tribunale di Vicenza. Così hanno voluto farsi sentire, per ribadire con forza il diritto alla salute in un territorio che ha subito (e sta ancora subendo) le conseguenze di uno dei casi più gravi di inquinamento ambientale in Europa.
«Il pm Paolo Fietta ha parlato apertamente di dolo, perché chi conosceva la tossicità di queste sostanze consapevolmente ha deciso di continuare a produrle, a riversarle, a permettere che la contaminazione si estendesse e la situazione diventasse irreversibile. Confidiamo nella giustizia, che accerti le responsabilità e tuteli le vittime del dramma che stiamo vivendo», dicono le Mamme no Pfas. Legambiente si è detta soddisfatta per la conferma del capo di imputazione, con richieste pesanti di condanna. Per l’associazione ambientalista, «si tratta di un’ulteriore prova della bontà del lavoro di denuncia e di difesa dell’ambiente e degli interessi collettivi che l’associazione ha svolto in questi anni, a partire dai primi allarmi diffusi all’alba delle rivelazioni del Cnr nel luglio 2013».
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C’è malumore, però, riguardo alla richiesta di assoluzione per sei dei quindici imputati. Legambiente si riserva un approfondimento, in vista delle conclusioni del proprio avvocato di parte civile, previste per il 13 marzo. Anche la Cgil del Veneto esprime riconoscimento per il lavoro di indagine svolto dalle forze dell’ordine e dalla Procura e apprezzamento per la requisitoria, che ha delineato la natura dolosa dei reati contestati e definito le responsabilità. Ma attende le motivazioni della richiesta di assoluzione per le figure non apicali, comunque coinvolte nel danno all’ambiente, alla popolazione e dei lavoratori.
Bonifica ancora da fare
La società civile chiede che si proceda prima possibile al risanamento dell’ambiente contaminato, a oltre dieci anni dalla scoperta dell’inquinamento. «Ci auguriamo che la sentenza confermi le responsabilità», commenta Piergiorgio Boscagin, presidente del circolo Legambiente di Cologna Veneta, «ma soprattutto che quanto sta emergendo con questo dibattimento processuale rinvigorisca la volontà sia di portare finalmente a termine l’avvio delle procedure di bonifica urgente del sito inquinato, sia di evitare che l’inquinamento da Pfas possa perpetrarsi nel futuro, anche in altre aree del Paese. La bonifica e la messa al bando dei Pfas devono restare una priorità a prescindere».
Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia commenta: «Il processo di Vicenza rappresenta un’occasione storica per fare giustizia sui crimini ambientali. Ci uniamo alla popolazione esposta a questo grave inquinamento per chiedere che vengano accertate tutte le responsabilità e per portare all’attenzione pubblica alcuni nodi ancora irrisolti, come la bonifica e la questione della contaminazione di alcuni prodotti alimentari: si tratta di due macchie indelebili sull’operato degli enti pubblici su cui da tempo chiediamo un cambio di passo non più rinviabile».
In apertura, foto del presidio del 7 e 8 febbraio, delle Mamme no Pfas
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