Attivismo

“Persone”, una forza dal basso per rafforzare la riforma sulla disabilità

Da qualche tempo è nato un nuovo coordinamento, formato da associazioni - ma anche da singole persone - che operano in questo campo. L'obiettivo? Presidiare la realizzazione della 227 e la deistituzionalizzazione

di Veronica Rossi

«Il problema dell’attivismo italiano è la frammentazione anche all’interno della stessa categoria: si chiedono politiche separate, cercando di accaparrarsi più fondi e servizi a discapito di altri, guardando solo il proprio orticello. Se non si lavora per avere degli obiettivi comuni, però, le lotte saranno sempre talmente parcellizzate da essere insignificanti». Alice Sodi, vicepresidente di Neuropeculiar APS– movimento per la biodiversità neurologica, riassume così le criticità su cui la sua associazione, insieme ad altre con cui ha fatto un percorso di allineamento e di autoformazione, si è concentrata negli ultimi mesi. L’esito è stato la nascita di Persone – Coordinamento nazionale contro la discriminazione delle persone con disabilità, che raggruppa persone con disabilità, familiari, organizzazioni e associazioni. Lo scopo? La piena attuazione della Convenzione Onu e la promozione dei diritti di chi vive una disabilità, che spesso viene marginalizzato e non ha garantita una reale partecipazione alla società su una base di uguaglianza con gli altri. I fondatori del coordinamento sono il Comitato 162 Piemonte, il Comitato 162 Valle d’Aosta, il Comitato 162 Lombardia, Neuropeculiar aps, Gianfranco Notari, Ama- Associazione missione autismo Asti e associazione Yawp.

«Questo sodalizio è nato intorno alla riforma sulla disabilità», continua Sodi, «quindi la Legge 227 e i successivi decreti attuativi. È un cambiamento storico: si tratta di una rivoluzione assolutamente radicale del welfare. Ci siamo detti “È un’occasione d’oro, non possiamo perderla”». Un altro motivo per cui è nato il coordinamento Persone è un sentimento di mancata rappresentanza rispetto alle più grandi associazioni nazionali. «La presenza anche di un singolo attivista familiare come me», dice Gianfranco Notari, «rappresenta tutte quelle famiglie che chiedono di più in termini di emancipazione, ma spesso non trovano risposta nelle associazioni sui territori, che magari sono le stesse che erogano anche servizi e hanno un possibile interesse a mantenere uno status quo. Sentiamo un’esigenza di liberazione, a cui in qualche modo la Convenzione Onu e la riforma vogliono rispondere». Le critiche verso la riforma, ad esempio l’assenza di misure per le persone autistiche e per quelle con gravi difficoltà, rappresentano per il coordinamento il segno dell’incomprensione del cambiamento che la norma rappresenta: «Se io mantengo le categorie non sto capendo il cuore della riforma», prosegue Notari, «perché si parla di cittadini, non di categorie diagnostiche».

Il proposito del coordinamento è anche quello di fare massa critica. «La necessità è quella di rimanere vigili e attenti», afferma Clara Salvador, presidente del Comitato 162 Piemonte, «portando avanti una narrazione che si discosta da quella ufficialmente riconosciuta. Noi vogliamo vedere applicati i diritti, nella pratica. Cerchiamo di realizzare i progetti di vita per i nostri figli nel mondo di tutti. La risposta dei servizi è sempre stata: “C’è il centro diurno, c’è la comunità, c’è un laboratorio protetto”, ma non è quello che vogliamo. Non più. Forse qualcuno che lo vuole ci sarà, ma noi chiediamo la libertà di poter scegliere. Una libertà vera, non decidere cosa mangiare a pranzo o a cena in una struttura, ma essere messi nelle condizioni di avere le stesse opportunità di tutti gli altri». Che significa anche non indurre famiglie e persone con disabilità a pensare che l’unica opzione possibile sia la vita in struttura: se si conosce una sola strada, non c’è una vera alternativa.

Avere le stesse possibilità, però, non basta. Ci vuole sostegno, in maniera continuativa. «I nostri figli vanno a scuola fino a 20 anni circa e hanno dei sostegni garantiti», dice Salvador, «poi non esiste più nulla, solo servizi a spot che tentano di dare risposta. Auspicavamo una riforma da anni, le leggi nascono perché c’è una spinta dal basso».

La paura, però, è che i decreti attuativi possano in qualche modo depotenziare la riforma. Soprattutto in un aspetto, che per il coordinamento è fondamentale: la deistituzionalizzazione. «Noi non vogliamo chiudere tutte le strutture», chiariscono i fondatori: «chi sceglie liberamente di andarci deve essere messo nelle condizioni di poterlo fare. Manca però tutto il processo per arrivare a questo punto: la libertà di scelta, l’offerta di opportunità variegate per tutti e tutte».

Per esempio, denunciano, se nella legge 227 la deistituzionalizzazione è centrale, nel decreto attuativo 62 questo termine scompare del tutto. Che sia proprio questo un punto di criticità è paradossale nella patria di Franco Basaglia e della Legge 180. «La 180 è stata sicuramente il risultato del lavoro di Basaglia», commenta Sodi, «ma la forza dal basso è stata importantissima; quest’ultima però tende a mollare la presa nel momento in cui si ha la percezione di aver raggiunto l’obiettivo. Ora tutti si lamentano, ma è un lamentarsi completamente innocuo, nessuno si mette a bussare alla porta di chi di dovere e a dire: “No, questo non lo potete fare”. La nostra idea era appunto quella di ricreare una forza dal basso, per riaffermare con forza quello che in Italia dovrebbe essere scontato ma che in realtà non lo è per nulla».

Foto in apertura da Pixabay

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