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Permessi retribuiti a madre adottiva

Giudice del lavoro di Milano si pronuncia sulla tutela della maternità di una madre adottiva. Bimbo adottato nasce una seconda volta.

di Redazione

Una madre adottiva può usufruire dei permessi giornalieri retribuiti nel primo anno di vita del figlio, non a partire dalla sua età anagrafica,ma dal momento del suo arrivo in famiglia. Così si è pronunciato il giudice del lavoro di Milano,sulla controversia relativa alla tutela della maternità di una dipendente delle Poste, madre adottiva di due bimbi. La legge riconosce i permessi retribuiti, anche nel caso di adozione, entro il primo anno di vita del bambino.Secondo il giudice, per “primo anno di vita” s’intende il primo nella famiglia adottiva. E’ in pratica una seconda nascita, per un bimbo adottato, l’ingresso nella nuova famiglia. E’ questo il principio cardine della sentenza con cui il giudice del Lavoro di Milano Amedeo Santosuosso ha riconosciuto a una dipendente delle Poste, madre adottiva di un bimbo di 4 anni e di un altro di 6 anni, il diritto di usufruire dei periodi di riposo giornaliero retribuiti chiesti (per allattamento) e ha condannato le Poste a retribuire alla lavoratrice i permessi (4 ore al giorno tra il 25 settembre 2000 e il 19 giugno 2001) e a rifonderle 3.500 euro per le spese di lite. Il caso ha preso le mosse dal ricorso con il quale la dipendente ha chiesto al tribunale di Milano di accertare il suo diritto ad usufruire, in quanto madre adottiva, dei permessi (a suo tempo riconosciuti) dopo che erano sorti alcuni dubbi. Dubbi dovuti alla successiva emanazione del testo unico in materia di tutela e sostegno della maternita’ e paternita’. Poiche’ l’ art. 45 del decreto legislativo limita l’estensione del beneficio dei riposi giornalieri, nei casi di adozione e di affidamento, ”entro il primo anno di vita del bambino”, la donna si era trovata davanti a un problema: il suo diritto era ancora riconoscibile oppure rischiava di dover restituire alle Poste la retribuzione percepita? Amedeo Santosuosso, nel risolvere la questione a favore della lavoratrice, e’ partito dal superamento della concezione biologica della filiazione e della famiglia (‘debiologizzazione’). Il giudice si e’ ispirato, infatti, alla legge sull’adozione speciale del ’77 per la quale la famiglia ”e’ principalmente una comunita’ di affetti” e che ”piu’ che rendere evidente la superiorita’ del modello naturale come modello sociale prevalente, mostra, paradossalmente, la possibile irrilevanza del dato naturale, o biologico, all’ interno della famiglia legittima”. In pratica, ha spiegato ancora il magistrato nelle motivazioni, ”se per il diritto il dato caratteristico della famiglia e’ la comunita’ di affetti, sara’ questo il requisito imprescindibile dell’esperienza familiare e quindi anche della filiazione” sia che i figli siano procreati dai genitori sia che siano adottati: ”e’ l’ apporto biologico dei genitori, il vincolo di sangue, a diventare una non necessita’ e non viceversa”. Dunque, per Santosuosso, ”la filiazione e’ non tanto un fatto biologico riconosciuto dal diritto…, ma il frutto di un intreccio tra opportunita’ biologiche personali, decisioni di ricorrere o meno all’adozione e decisioni di avvalersi o meno dei mezzi offerti dalle nuove tecniche riproduttive”. Cio’ per il magistrato ha trovato conferma nell’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata a Nizza nel 2000 che garantisce il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia ”senza porre limiti o fondamenti particolari che abbiano un valore preclusivo”. Questi presupposti hanno consentito al giudice di vedere sotto una luce diversa l’articolo 45 del testo unico e la frase ”primo anno di vita” rapportata anche al bambino adottato, e a scrivere che questa espressione lessicale ”ha un significato assolutamente non equivoco: e’ il primo anno di vita nella famiglia adottiva” perche’ fa riferimento ”a una concezione non necessariamente biologica di vita e da’ coerentemente per scontato che possa accadere nella vita di nascere due volte”. Santosuosso, nel sostenere la sua tesi, ha considerato il caso ipotetico, ma non da escludere, nel quale la madre biologica ha goduto dei permessi di allattamento prima della dichiarazione di adottabilita’ del figlio e ha concluso: ”a fronte di un’ipotesi del genere risulta del tutto chiaro che l’ ingresso nella famiglia adottiva rappresenta una seconda nascita nella storia biologica e personale dello stesso essere umano. E, a fronte di questa seconda opportunita’ di nascere, e’ giusto che i nuovi genitori godano delle stesse garanzie della prima nascita, garanzie funzionali agli interessi di quel minorenne”.


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