Non profit

Permessi di soggiorno, più famiglia che lavoro

Boom delle motivazioni familiari

di Benedetta Verrini

Da tre a sette anni. Tanto impiega uno straniero, residente in Italia, ad ottenere il ricongiungimento con i propri figli. Lo rivela una ricerca promossa dalla Caritas Ambrosiana e dall’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità, che fotografa le difficoltà e la vulnerabilità di queste nuove famiglie.
I ricongiungimenti familiari degli stranieri stanno per segnare, anche nel nostro Paese, il “sorpasso” rispetto alla migrazione per motivi di lavoro. Rappresentano l’onda lunga, distante anni, che segue chi è partito solo – uomo o donna – in cerca di lavoro.
La ricerca curata da Maurizio Ambrosini, sociologo dei processi migratori, parte con l’analizzare i dati nazionali ed evidenzia un fenomeno in progressione: i permessi di soggiorno per motivi di famiglia, negli ultimi dieci anni (1998-2008), sono cresciuti del 216% (contro un incremento dell’88% dei permessi per motivi di lavoro).
Oggi più di 1.360.000 famiglie iscritte all’anagrafe hanno un capofamiglia straniero e figli minori (in totale 767mila). La maggior parte sono nati nel nostro Paese, ma ogni anno continua ad avvenire il ricongiungimento di migliaia di ragazzi e ragazze di diverse età. La loro vulnerabilità è stata fotografata in una serie di interviste qualitative. «Soprattutto per una madre sola con figli piccoli, che vengono lasciati in custodia nel Paese d’origine» spiega Ambrosini, «dover attendere tre, cinque, sette anni prima di ricongiungersi significa perdere del tutto quel legame di confidenza e quella autorevolezza genitoriale necessaria a costituire il rapporto genitori-figli».
La situazione dei minori richiamati in Italia è particolarmente delicata: basti pensare che, ormai preadolescenti, devono vivere l’allontanamento dalla madrepatria, il passaggio da una condizione semi-privilegiata (grazie alle rimesse dei genitori) a una di emarginazione e sostanziale povertà. «Inoltre, quando il ricongiungimento è con la madre e i padri sono assenti», sottolinea Ambrosini, «quasi mai questi ragazzi si ritrovano a vivere stabilmente con la mamma, che deve lavorare e li affida nuovamente a qualcuno, o li lascia soli».
La difficoltà dei minori “ricongiunti” è superiore a quella dei bambini stranieri nati in Italia. La ricerca suggerisce una serie di strategie per sostenere la fragilità di questi nuclei: da progetti mirati di cooperazione nei Paesi d’origine per sostenere i minori privi di cure materne a un maggior sostegno, in Italia, alla genitorialità a distanza e al processo di ricongiungimento, fino al supporto socio-educativo della famiglia appena ricostituita. Un pacchetto d’interventi «coerente con una politica d’integrazione», spiega Ambrosini. «I protagonisti degli episodi di violenza di via Padova a Milano sono giovani maschi soli, non padri di famiglia. All’interno delle politiche che regolano l’immigrazione dovrebbe prevalere la consapevolezza che più si stimolano gli stranieri a fare famiglia e meno si creeranno ghetti».

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