Cultura

Perché scuola e lavoro non vanno separati

Scuola e vita reale si parlano poco, come dimostra la vicenda dell'Alternanza Scuola Lavoro. Invece è opportuno e necessario colmare la distanza tra scuola e realtà territoriale, riallacciando legami forti, pensati e desiderati. L'Alternanza è stata accompagnata poco: serve ora riprenderla, presentandola più per quello che veramente è: uno strumento pedagogico

di Paolo Zuffinetti e con un commento di Vanna Iori

In Italia ha spesso predominato, al di là della coloritura politica, una visione idealistica della Cultura con la “C” maiuscola, dove tutto ciò che ha a che fare con la pratica ed il lavoro operativo è ritenuto di “serie b o c” rispetto a quanto ha a che vedere con la teoria ed il lavoro intellettuale. Così come alle istituzioni educative viene riconosciuto un ruolo predominante, in quanto titolari della trasmissione del sapere codificato, altrettanto la cultura tecnico-scientifica incontra difficoltà ad affermarsi e faticano ad istaurarsi relazioni forti ed organiche tra mondo della scuola e della produzione. In questa logica la costruzione di relazioni tra scuola e comunità territoriale è spesso stata caratterizzata da una separatezza reciprocamente svalutante, per cui ciò che si impara a scuola ha poco o nulla a che fare con la vita e quello che “succede nel mondo” ha, nella sua dimensione pratica, un valore limitatamente contingente, di poco spessore e valore per la scuola. In questo quadro diventa difficile trovare spazi e luoghi di incontro, di parola e scambio reciproco.

Lo scollamento fra la scuola e la sua realtà territoriale

L’opportunità di colmare la distanza tra scuola e realtà territoriale e la necessità di riallacciare legami forti, pensati e desiderati, è paradigmaticamente rappresentata dal tema dell'Alternanza Scuola-Lavoro. Nella riforma della cosiddetta “Buona scuola” venne introdotta, in modo significativo, la dimensione dell’Alternanza che, in modo altrettanto significativo, incontrò una notevole e a tratti agguerrita resistenza.

Molte delle critiche generatesi nel contesto scolastico, al netto di quelle più strettamente riferite ad una (supposta) dimensione di sfruttamento lavorativo, sono ruotate attorno allo svilimento del sapere, alla perdita di tempo scuola, all’inutilità formativa che sottraeva spazi di apprendimento. Obiezioni che hanno confermando, quindi, la logica del primato, in termini di apprendimento e di trasmissione del sapere, del mondo scolastico rispetto alla comunità territoriale (che è ben più che non il “semplice” universo dell’impresa). Una separatezza che appare quindi fortemente radicata e che richiede un’intenzionalità forte per il suo superamento.

Uno dei punti deboli della "Buona Scuola" è che sull'Alternanza non ha accompagnato il processo. Sono mancati i chiarimenti pedagogici. Si è lasciato l’onere di fare sintesi ai ragazzi, obbligandoli a un’operazione di rilettura e di integrazione dei saperi ma soprattutto di modelli e modalità che gli adulti non sono stati, spesso, in grado di far incontrare.

Paolo Zuffinetti



Il difetto che si può rintracciare nella riforma è stato quello di immaginare che fosse sufficiente quantificare un obiettivo-traguardo affinché un’innovazione così consistente si potesse realizzare. Non si è forse tenuto debitamente conto di come fosse necessario accompagnare il processo, costruendo condizioni organizzative e culturali perché l’operazione potesse avere il compimento auspicato. Sono forse mancati i chiarimenti pedagogici, per un cambiamento più culturale che organizzativo. È, forse, mancata la costruzione di percorsi didattici che non si limitassero a preparare gli allievi a inserirsi in un contesto così differente da quello scolastico, ma che si inserissero in una dimensione dialogica e avviasse logiche di condivisione del processo di apprendimento. Si è lasciato, in una dimensione di separatezza tra sistemi formativi, l’onere di fare sintesi ai ragazzi, obbligandoli a un’operazione di rilettura e di integrazione dei saperi ma soprattutto di modelli e modalità che gli adulti non sono stati, spesso, in grado di far incontrare.

Molte delle attività di alternanza sono state caratterizzate da una dimensione di delega, appena mitigata da un accompagnamento organizzativo. Un’esperienza caratterizzata da una dinamica sottrattiva in cui tutti hanno rischiato di perdere qualcosa, la scuola ha spesso avuto la sensazione di un maggior carico di lavoro a fronte della perdita del proprio ruolo formativo, il mondo aziendale di essere(si) prestato ad un’esperienza poco significativa, poco riconosciuta e alla fine più onerosa che utile, l’allievo di aver perso banalmente tempo e di non aver sedimentato un sapere utile mancando, in molti casi, una seria rilettura dell’apprendimento esperienziale.

Si è persa l’occasione di generare un luogo terzo e differente, non scuola e non azienda, un momento di scambio di saperi che avrebbe potuto arricchire tutti gli attori coinvolti. L’occasione di confrontarsi tra modelli formativi differenti, esplicitandoli e valorizzandoli per le loro potenzialità formative. Un’opportunità per contaminarsi, accrescere, e sedimentare la conoscenza organizzativa sfatando nel contempo i pregiudizi che sottolineando le differenze non consentono un reciproco apprezzamento.

Paolo Zuffinetti

Si è persa l’occasione di generare un luogo terzo e differente, non scuola e non azienda, un momento di scambio di saperi che avrebbe potuto arricchire tutti gli attori coinvolti. L’occasione di confrontarsi tra modelli formativi differenti, esplicitandoli e valorizzandoli per le loro potenzialità formative. Un’opportunità per contaminarsi, accrescere, e sedimentare la conoscenza organizzativa sfatando nel contempo i pregiudizi che sottolineando le differenze non consentono un reciproco apprezzamento.

Un processo dunque che sarebbe stato necessario accompagnare pedagogicamente, orientando la costruzione di modelli, rendendo evidenti le potenzialità formative, le possibili aree di sinergia e le aree tipiche ed imprescindibili delle organizzazioni e dei sistemi. Un laboratorio che ponendo al centro l’esperienza formativa degli allievi avrebbe come “sottoprodotto” il rafforzamento dei legami sociali e delle comunità, in una logica di reciproco influenzamento e di legittimazione alle “chiamate” reciproche.

Inserire nel contesto scuola figure che possano curare i processi pedagogici e di sistema, prescindendo dalla dimensione “disciplinare”, ha come obiettivo potenziare e valorizzare il ruolo del mondo della scuola, anziché sminuirlo.

Provare la cultura al vaglio della vita. Un commento di Vanna Iori*

Il Ministro dell’Istruzione Marco Bussetti aveva sostenuto a giugno dello scorso anno, dinanzi alle commissioni congiunte di Camera e Senato, l’importanza della "sintesi" tra mondo della scuola e mondo del lavoro nella formazione dei ragazzi. Ma poi ha deciso di ridurla, anziché potenziarla. La legge 107/2015 prevedeva 400 ore complessive per gli istituti tecnici e professionali e 200 per i licei. Con la legge di Bilancio 2019, si è cambiata la denominazione dell'Alternanza Scuola- Lavoro in “Percorsi per le Competenze Trasversali” e l’orario minimo obbligatorio della ex Alternanza è stato drasticamente diminuito: 90 ore nei licei (erano 200); 210 ore nei professionali (dimezzate dalle precedenti 400), mentre restano 150 nei tecnici.

È fisiologico che nei primi due anni di applicazione dell'Alternanza Scuola Lavoro siano emerse criticità che rendevano necessario uno sforzo ulteriore per sostenere le scuole nella progettazione dei percorsi educativi e nella gestione delle procedure. Ma è importante compiere miglioramenti, non retrocedere. Del resto l’Alternanza scuola-lavoro è un’innovazione pedagogica e didattica importante, adottata da decenni in molti paesi europei, ed in particolare in Germania e Svizzera. Non possiamo più sentirci dire che i ragazzi che escono dalle nostre scuole non possiedono le conoscenze necessarie e richieste dalle imprese e dal mondo del lavoro.

Ha dunque ragione Zuffinetti a rimarcare la distanza dal lavoro di una scuola ancora troppo impregnata di cultura idealistica. E certamente non è un caso che le ore siano state più che dimezzate proprio nei licei, mentre siano rimaste elevate nei tecnici e nei professionali. Come se chi sa di greco e di latino debba tenersi lontano dal mondo del lavoro. Come se non dovesse anche lui (e glielo auguriamo) accedervi.

Questa esperienza di contatto con il mondo del lavoro ha una prioritaria valenza educativa, non solo finalizzata all’acquisizione di competenze professionali per svolgere “quel lavoro”, ma per svolgere “ogni lavoro”, poiché offre la possibilità di acquisire competenze trasversali (problem solving, lavoro in team, organizzazione del tempo e delle attività) indispensabili per l’inserimento in contesti lavorativi sempre più caratterizzati da forti innovazioni organizzative, di processo e di prodotto. Si tratta inoltre di esperienze che non solo aiutano le studentesse e gli studenti a conoscere meglio sé stessi, ma anche a scoprire attitudini, preferenze e talenti che possono essere utili ad orientare le loro future scelte di studio o di lavoro.

Potenziamo dunque, e miglioriamolo, questo percorso importante in un Paese dove l’abbandono scolastico rappresenta una sfida emergenziale e dove il tasso di passaggio degli studenti dal secondo ciclo all’università è di circa il 50% rispetto al 68% della media dei paesi OCSE. Nelle realtà in cui si è investito fortemente su queste esperienze importanti per un’offerta di contenuti ricchi, aggiornati, vasti, collegati ai contesti lavorativi, i riscontri ipotizzati da Zuffinetti ci sono già stati. Non fermiamo i processi di costruzione di legami e le esperienze di avvicinamento tra la scuola e il territorio. Cerchiamo invece, come sosteneva don Milani, di «provare la cultura al vaglio della vita».

*Vanna Iori, pedagogista, è capogruppo PD in Commissione Istruzione Senato

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