Famiglia

Perché riscoprire Rosmini,profeta della libertà sociale

Una riflessione in margine alla recente beatificazione.

di Giuseppe De Rita

Il nuovo numero del mensile 30Giorni ha dedicato il servizio di copertina alla beatificazione di Antonio Rosmini. Tra gli interventi pubblicati, anche una lunga testimonianza di Giuseppe De Rita. Eccone lo stralcio conclusivo. Fare una scelta di importanza relativa fra le componenti della ?radice? del movimento generato da Antonio Rosmini è cosa difficile, ma da ?dilettante aggregato? del mondo rosminiano, mi sembra che su quattro grandi temi Rosmini e i rosminiani abbiano avuto ragione: prima a insistervi contro tanti avversari e poi facendoli via via penetrare nella coscienza collettiva, pur senza un proprio protagonismo pubblico e mediatico. Il primo tema è quello della libertà religiosa. Dopo il Concilio Vaticano II sembra un?opzione scontata. Ma guardiamo ai tempi di Rosmini, quando esistevano ancora lo Stato della Chiesa e il sovrano pontefice: e nessuno certo si scandalizzava perché nello Statuto albertino era scritto che il cattolicesimo era «religione di Stato». L?unico a reagire duramente fu Rosmini, che scrisse: «La religione cattolica non ha bisogno di protezioni dinastiche, ma di libertà. Ha bisogno che sia protetta la sua libertà, e non altro». La Chiesa, essendo società naturale e spontanea, non si condensa nel potere, ma filtra e penetra dappertutto come l?aria e l?acqua; e ha solo bisogno di non venir costretta. La fede entra nei cuori senza passare per poteri di vertice. Non molti, nei decenni segnati dal Vaticano primo, hanno avuto il coraggio di affermazioni di questo genere. Il secondo grande tema rosminiano è stato la libertà del papato dal suo potere temporale. Ho ricordato in altra sede una lettera di Rosmini al cardinale Castracane del 1848, dove scriveva: «Quando avesse luogo l?unità federativa d?Italia, il sommo pontefice rimarrebbe un principe del tutto pacifico e manderebbe dei nunzi per gli affari spirituali; e li manderebbe, in più, non ai principi ma alle Chiese del mondo». Aveva visto giusto e ha avuto ragione dai fatti, che oggi corrispondono a quella sua opzione, ripeto del 1848, cioè anteriore di oltre vent?anni all?unificazione nazionale del 1870. «La signoria che non crea società ma solo servitù» I due temi fin qui richiamati (libertà religiosa e distacco dal potere temporale) si ricollegano sotterraneamente a un altro grande tema rosminiano: il rifiuto della dominanza del potere politico, la grande scelta che ha fatto di Rosmini l?alfiere italiano del cattolicesimo liberale, e – se il termine non disturba qualcuno – del cattolicesimo democratico. A me è sempre piaciuto molto il suo diniego verso «la signoria che non crea società ma dominio e servitù», anche perché lego la frase a un?altra che indica che «la costruzione della società è un complesso di atti e una pluralità di persone», dove si avverte l?inizio della tematica del pluralismo culturale e politico e di quello ?sviluppo di popolo? che ha caratterizzato la democrazia italiana degli ultimi decenni. E mi viene naturale e spontaneo collegare questa fede nello sviluppo operato da una pluralità di persone con la considerazione che una società a tanti soggetti può crescere, può esplorare con serenità tutte le sue possibilità, solo se rispetta e fa rispettare tutti i diritti, la sicurezza di tutti i diritti, il libero uso di tutti i diritti. Questo e non altro è il liberalismo di Rosmini, che tanti problemi ha poi creato a lui e alla sua Congregazione: la società va costruita in modo tale che tutti possano avere il libero uso dei propri diritti. Questo è il bene comune che traspare dalla sua complessa riflessione sociopolitica: la soggettualità fino a quando resta chiusa in se stessa non è vitale, lo diventa quando entra in relazione con gli altri, «cospira con gli altri alla creazione di una società che abbia come fine comune il libero uso dei diritti». Si può immaginare, a questo punto, quanto mi piacerebbe andare sui percorsi ulteriori che queste tematiche aprono: il valore della soggettività individuale come grande motore sociale, quando non si faccia tentare dal soggettivismo etico; il valore della relazione come percorso di vite che non si chiudono nella autocentratura, sia essa di narcisismo e/o di depressione; il valore del rapporto con gli altri, con l?altro da te come vera strada di arrivo all?Altro assoluto. Ma sarebbero percorsi troppo lunghi. Mi costringo comunque ad evitarli perché voglio dimostrare cioè che Rosmini era certamente un grande, ma che ha avuto la fortuna che i suoi rosminiani abbiano cavalcato per anni i suoi grandi temi sviluppandoli, e accompagnandoli nel tempo a essere temi (la libertà religiosa, la fine del potere temporale, l?opzione per il pluralismo democratico, la fede in uno sviluppo a tanti soggetti) non da minoranza reietta ma da ala marciante della Chiesa nella sua evoluzione storica degli ultimi centosessant?anni. Sono stati umilmente fedeli alla Chiesa e al loro fondatore e profeta; meritano tutti, anche quelli che non ci sono più, di sentire come propria vittoria essere giunti al traguardo della beatificazione.


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