Cultura
Perché porto Dante a Kibera
Marco Martinelli a Milano per presentare lo straordinario progetto avviato con gli allievi delle scuole del più grande slum africano e che ad ottobre sfocerà in un triplice spettacolo. Appuntamento allo Spazio Banterle, venerdì 22 alle 18,30
«Il lavoro sulla “Divina Commedia” ci ha confermato quanto l’archetipo narrativo sia universale». Marco Martinelli, regista del Teatro delle Albe sintetizza così la sorpresa della prima fase di lavoro nelle scuole di Kibera, il più grande slum africano, alle porte di Nairobi. Con i ragazzi Martinelli porterà in scena uno spettacolo a partire dall’Inferno. Due serate che culmineranno il 7 ottobre con una emozionante performance collettiva nello slargo centrale dello slum. «Abbiamo parlato di un uomo che si perde in una foresta oscura, fatta di paura, disperazione, mancanza di senso della vita. Di come quell’uomo, nel momento in cui spera di esserne uscito, si trova divorato da belve feroci ed ha la forza di capire che non si salverà da solo. Questo è il grido di Dante: miserere di me».
Marco Martinelli sarà a Milano venerdì 22, insieme al segretario generale di Avsi, Giampaolo Silvestri, per presentare lo straordinario progetto: un incontro pubblico allo Spazio Banterle, in largo Corsia dei Servi (alle 18,30), a cui parteciperà anche Luca Doninelli, in rappresentanza del Teatro degli Incamminati, altro partner in questo percorso.
Martinelli ha raccontato la genesi e il significato di questo progetto in un’intervista ad Andrea Porcheddu, sul sito glistatigenerali.com. «Alcuni responsabili della Ong Avsi, di chiara matrice cattolica, avevano letto il mio libro “Aristofane a Scampia” e ne erano rimasti entusiasti», ha raccontato il regista. «Già un anno fa mi hanno chiamato per chiedermi se eravamo interessati a “seminare” una Non-scuola in Kenya. Al momento dissi di no. Eravamo troppo impegnati tra produzioni, spettacoli, altre Non-scuole ma – non senza astuzia – mi hanno semplicemente chiesto di incontrarci e raccontarmi: e mi hanno steso! Di fronte alla realtà di Nairobi, al lavoro che fanno lì, non c’è calendario né produzione che tenga. Così, con Laura Redaelli, attrice e guida di nostri tanti laboratori, siamo andati giù. Proprio la situazione che ho trovato mi ha convinto che avevamo deciso bene. Nelle scuole pubbliche del Kenya i bambini sono picchiati regolarmente, come accadeva nella Londra di Dickens più di cento anni fa. Per fortuna, nelle scuole cattoliche, peraltro frequentate liberamente da tutti, da bambini e ragazzi di tutte le confessioni religiose, questo ovviamente non accade. E allora vedi una cosa incredibile: scopri che i bambini sono entusiasti, felici di stare in quelle scuola, dove trovano un pasto caldo, spesso per loro l’unico della giornata, e non sono picchiati. Scuole dove, insomma, viene rispettata la dignità dell’essere umano. Bambino o adulto che sia.
Noi abbiamo lavorato anche con gli insegnanti, i maestri e le maestre, e con allievi delle scuole primarie e secondarie. Dunque in un ambiente, un luogo di grande felicità: ed è la scuola! Quella stessa scuola che noi “occidentali” pensiamo spesso come noia, che vede mal disposti i ragazzi che la frequentano. Là è il contrario: un luogo di felicità».
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