Disabilità

Perché per mio figlio ho scelto una scuola speciale

Cristina Molteni è la mamma di un ragazzo con pluridisabilità. In questa testimonianza, senza pregiudizio e con una abbondante dose di pragmatismo, racconta come mai per suo figlio ha scelto una scuola speciale. «Non auspico un ritorno alle classi differenziali, ma credo che sia ancora un bene che qualcuna di queste scuole esista» osserva. « Allo stato attuale ci sono ancora molteplici criticità che, nella realtà, rendono l'inserimento degli alunni con disabilità e la loro partecipazione alla vita concreta della classe, molto lontano dall'essere effettiva e piena»

di Sabina Pignataro

«Non auspico un ritorno alle classi differenziali, alla separazione obbligatoriamente forzata delle persone con disabilità dai “normodotati”. Occorre però analizzare con occhio attento la realtà, che ha sempre qualcosa da insegnarci: perché mai ci sono scuole con sezioni speciali (spesso collegate a centri riabilitativi, tipo l’Istituto Don Gnocchi o La Nostra Famiglia) per le quali la richiesta è altissima, con lunghe liste d’attesa?». A parlare così è Cristina Molteni, mamma di un ragazzo con pluridisabilità. Lei e suo marito, «volendoci ragionare senza pregiudizio e con una dose necessaria di pragmatismo», hanno visitato tre scuole speciali, oltre ad innumerevoli scuole “ordinarie” e alla fine, anni fa, hanno iscritto il loro bambino, oggi adolescente, in una scuola speciale.

In questa testimonianza, cha sa stare nella complessità della vita, racconta a VITA come mai.

«Mi chiamo Cristina Molteni e sono mamma di un ragazzo con pluridisabilità, derivate da un problema genetico (sindrome di Down), sommato ad una paralisi cerebrale infantile causata dalla sua nascita prematura in ipossia perinatale ed alle conseguenze di una sindrome epilettica che esordisce nella prima infanzia e che tutt’ora si trova a dover fronteggiare.

Cristina Molteni

Sono di questi giorni i continui rilanci delle parole del generale Vannacci circa la disabilità: accolgo con ironica sorpresa sia le parole di un generale che scopre così facilmente il fianco, sia quelle inneggianti alle barricate da parte di chi sostiene il diritto all’inclusione (dato che le barricate non sono certo il luogo cardine di un dialogo, ma di uno scontro).

A volte mi crea disagio persino questa magica parola, “inclusione”, quando viene ripetuta come un mantra salvifico senza che ci sia dietro una coscienza reale di quello che significa e che richiede, quale bene voglia realizzare e secondo quali metodi. Spesso si riduce ad essere come la risposta di un organismo che, per rendere inoffensivo un corpo estraneo, lo incapsula circondandolo di tessuto cicatriziale in modo che non dia più fastidio.

Entrando nel tema specifico della disabilità, non auspico un ritorno alle classi differenziali, alla separazione obbligatoriamente forzata delle persone con disabilità dai “normodotati” (e ad ogni modo i “plus-dotati” dove li collochiamo?).

Occorre però analizzare con occhio attento la realtà, che ha sempre qualcosa da insegnarci: è doveroso domandarsi perché mai ci sono scuole con sezioni speciali (spesso collegate a centri riabilitativi, tipo l’Istituto Don Gnocchi o La Nostra Famiglia di Bosisio Parini, ma non necessariamente, penso per esempio alla scuola Paolo e Larissa Pini di Milano) per le quali la richiesta è altissima, con lunghe liste d’attesa? A quali necessità rispondono queste scuole? Possono esistere e vale la pena che esistano, se la strada sempre e comunque da perseguire è quella di inserire i bambini e ragazzi con disabilità nelle classi ordinarie?

Da genitore posso affermare senza alcun timore che queste domande scomode me le sono fatte anch’io: volendoci ragionare senza pregiudizio e con una dose necessaria di pragmatismo, ho personalmente visitato ben tre scuole speciali, oltre ad innumerevoli scuole diciamo “ordinarie”, perché mi chiedevo quale fosse il percorso migliore per supportare lo sviluppo delle potenzialità (poche o tante, latenti o manifeste) di mio figlio nel suo percorso di vita, come alunno e come persona, tenendo anche in oggettivo conto le necessità e le implicazioni dettate dalle sue disabilità.

La risposta che mi sono data, anche incontrando altre famiglie ed altri bambini in situazioni anche molto diverse dalla nostra, è che sì, attualmente è ancora un bene che qualcuna di queste scuole speciali esista accanto alla scuola ordinaria (statale o paritaria), concretizzando una offerta formativa integrata, libera ed ampia e che tutte partecipino ad un continuo percorso di riflessione su di sé e che possano tutte vantare la presenza di insegnanti curricolari e di sostegno con una formazione consistente e in costante aggiornamento.


Perché allo stato attuale esistono ancora molteplici criticità che, nella realtà, rendono l’inserimento degli alunni con disabilità e la loro partecipazione alla vita concreta della classe molto lontano dall’essere effettiva e piena.

Alla fine noi non ci siamo orientati sulla scelta della scuola speciale, perché nel nostro cammino, dopo molte faticose ricerche, abbiamo potuto incontrare una realtà più confacente alle nostre esigenze e perché ci sono state favorevoli anche tutte le condizioni collaterali, che esistono e contano tantissimo: numerosità delle classi, numero e precedenza di iscrizione di altri bambini disabili, distanza da casa, supporto educativo, insegnanti di sostegno stabili e formati… e per molti altri la lista si allunga ancora con la necessità di assistenti specializzati alla comunicazione, alla presenza di personale infermieristico e di mobilizzazione, magari per l’utilizzo di macchinari di supporto alla ventilazione o all’alimentazione, per particolari esigenze di posizionamento durante l’arco della giornata e mille altri dettagli tutt’altro che insignificanti.

A tutto ciò va affiancata anche una seria e realistica riflessione sullo stato, a volte miserevole, in cui versa la scuola italiana, col suo sistema di selezione del corpo docente e di assegnamento delle cattedre, con la cronica carenza di insegnanti specializzati ed effettivamente formati sul sostegno – che a volte viene usato addirittura come ripiego per allontanare dalle classi docenti inadeguati – con la chimera della continuità didattica nelle assegnazioni dei docenti e spesso con il congruo ritardo col quale vengono fatte le nomine rispetto all’inizio dell’anno scolastico.

La realtà dice che, per molte famiglie con figli con disabilità gravissime o di complicata gestione oppure con particolari patologie, magari psichiatriche e comportamentali, al di là di proclami ideologici ed astratti, allo stato attuale delle cose la scelta di una scuola speciale è di fatto quella che può meglio permettere in serenità l’attenzione ai bisogni specifici del proprio figlio, in affiancamento ad esperienze di condivisione con il territorio e le scuole circostanti. Per taluni addirittura può essere l’unica possibilità (realmente) praticabile per poter uscire dal proprio ambiente domestico.

Quello che occorre tenere sempre al centro è la possibilità di realizzare il bene di quel singolo concreto bambino o ragazzo, mai esaurito da una eventuale diagnosi, in quel preciso tratto della sua vita, in quel preciso momento del suo percorso di salute o di malattia o disabilità e delle esigenze particolari e specifiche della sua famiglia in quella determinata fase della vita, in quel preciso contesto sociale ed economico… cosa che spesso nemmeno ad un bambino “dallo sviluppo tipico” è concessa da un contesto scolastico che per semplificarsi la vita o per incompetenza tutto vuole standardizzare e tutto vive come un problema da risolvere, invece che come una ricchezza da accogliere e valorizzare».

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Foto in apertura: Mike Fox by Unplash

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