Sostenibilità

Perché non piace ai poteri forti

I contrari

di Redazione

Una lunga guerra, nemmeno troppo sotterranea. Attorno al progetto, diventato poi legge, sulla “class action” all’italiana si sono scatenate critiche, pressioni incrociate, fuochi di fila di dichiarazioni. Che hanno inevitabilmente influenzato l’esito normativo finale. Confindustria, innanzitutto.
Quando ancora il testo era in discussione al Senato, il direttore generale dell’associazione di categoria degli industriali, Maurizio Beretta, in un’audizione alla commissione Giustizia della Camera esponeva così quelli che sarebbero stati i rischi legati all’introduzione della class action: «Benefici deboli per i consumatori, rischi alti per le imprese e compensi faraonici per gli studi legali». L’avversione alla legge e le preoccupazioni per le imprese sono rimaste le medesime anche dopo l’approvazione del testo: «Così si espongono le imprese a una vera gogna mediatica oltre che alla possibilità di grandi danni economici, mediatici e occupazionali prodotti dall’azione collettiva».
Due delle vittorie portate a casa da Confindustria con il testo definitivo approvato dal Parlamento sono state l’introduzione dell’«opt in», che stabilisce i criteri di partecipazione alle cause collettive e il filtro preventivo di ammissibilità dell’autorità giudiziaria.
Anche la Consob è entrata nel novero degli scettici: «Se mal interpretata, può fare un danno enorme a tutto il sistema, potrebbe portare a un dilagare di cause speciose o non speciose che potrebbero ulteriormente danneggiare il sistema»: così il presidente Lamberto Cardia.
Anche le assicurazioni (potenziali bersagli di future cause risarcitorie collettive) non risparmiano critiche allo strumento: «Il problema di fondo», commenta Giampaolo Galli, direttore generale dell’Ania, «è che nel caso di class action nessuno può impedire nuovi ricorsi contro l’impresa anche se questa viene assolta. Da questa normativa l’impresa può solo perdere. Ecco perché i giuristi hanno definito questo progetto un mostro giuridico. Questo è uno strumento molto più pericoloso rispetto a quello americano perché non consente di rendere definitivo e tombale il giudizio di assoluzione».


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