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Perché le famiglie non devono alzare bandiera bianca

Il commento di Giuseppe Frangi

di Giuseppe Frangi

Èun vero stillicidio quello che la cronaca ci impone in questi ultimi mesi. Da Novi Ligure in poi è una via Crucis infinita, di famiglia distrutte da drammi improvvisi e imprevedibili. Di folate d?odio che scoperchiano, senza motivazioni apparenti, case non diverse da tante altre. è persin inutile elencarli, perché la nostra memoria è inchiodata all?ultimo fatto, che sembra sempre aver oltrepassato una nuova frontiera di crudeltà. Ogni volta ci si chiede cosa stia accadendo in tante famiglie, quale virus invisibile e maligno faccia esplodere situazioni che sino a un?ora prima correvano sui binari di una tranquilla normalità. Sembra di assistere a una tragedia il cui autore non risparmia i colpi di scena più cupi. Ma qui il palcoscenico è la vita, e il sangue che ogni volta scorre è sangue tremendamente vero.
Lo schema più semplicistico parla di un declino della famiglia. In realtà, come ha scritto Gustavo Charmet, sta accadendo esattamente l?opposto. Nelle famiglie italiane si registra il «più basso livello di conflitto tra genitori e figli che si sia mai visto». I figli vivono adorati dai genitori, i padri sono completamente destituiti dal ruolo di autorità se necessario autoritario. È la famiglia centripeta, come la battezza Charmet, «che non costruisce cittadini, soldati, vocazioni religiose o giovani impegnati» perché l?orizzonte di valori non viene più suggerito da modelli culturali esterni, ma viene prodotto all?interno delle mura di casa. Risultato: «Ragazzi schiantati dai loro stessi ideali e dalle aspettative interiorizzate dei loro genitori: ragazzi senza regole, senza padre, adorati da una madre fragile o troppo importante poterla deludere».
In questi giorni anche un testimone della realtà giovanile come Vittorino Andreoli, uno che ha accettato di infilarsi nei casi più difficili senza mai cercare sconti, ha scritto sul Corriere della sera, di fronte all?ultimo caso della ragazza che ha tentato di avvelenare i suoi genitori, di alzare bandiera bianca. Chiedo questa volta ai giudici di non essere scelto come perito, ha annunciato Andreoli, «perché io non ne capisco più nulla e so che tutti i tentativi di dare una comprensione al massacro tra genitori e figli, nelle due direzioni, non mi convincono più». Una confessione di impotenza, tanto sincera quanto efficace anche per la sua teatralità. Andreoli riconosce l?inadeguatezza della morale, della cultura e della legge. Gli siamo riconoscenti, perché intollerabili sono gran parte delle parole lette e ascoltate in questi mesi.
Eppure la passione verso la realtà che ci muove, che muove i tanti che ci leggono, chiede, quasi implora, di trovare uno sguardo in grado di abbracciare anche chi oggi sembra destinato a schiantarsi contro il muro della tristezza. Implora di trovare una parola. Come quella che un amico ci ha suggerito dalle pagine di un libro che merita di diventare un best seller. È l?autobiografia di Katja Rohde, ragazza autistica, nata in Germania (La ragazza porcospino, Corbaccio editore). Ascoltiamola: «Io, creatura autistica, che conosce soltanto poche vittorie, che ama la vita, ma che dipende da chi, avendo la forza di vivere si volta verso di lei per sostenerla, io do gioia al mondo con la mia esistenza. Io, porcospino di Dio, sono uscita da un?idea buona, sono vincente in un mondo diverso dal vostro, non agisco come voi. Dio mi ha voluta così. Sono ben fatta».
P. S. ?Ben fatta?, proprio come la famiglia straordinaria di Gian Luca Signorini, il capitano di Genoa e Roma, colpito da un morbo gravissimo. Li abbiamo visti sul prato dello stadio Marassi, papà in carrozzella, i figli maggiori a spingere, la moglie a guardare commossa. Su Vita in questo numero trovate la loro storia. Paradosso vuole che una così grande speranza venga da chi lotta giorno per giorno per conservare un filo di speranza.

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