Non profit
Perché lassociazionismo non intercetta le spinte
La disponibilità degli individui spesso si arresta alla soglia delle strutture organizzate. E il volontario diventa un reticolo di atomi, solidaristi ma soli
Se dovessi rispondere a una domanda sullo stato del volontariato e dell?associazionismo volontario, risponderei così: che il primo è in piena salute, ma il secondo no. Che il volontario sta benissimo, ma l?associazionismo è ammalato. Forse ammalato gravemente. Che cosa intendo dire con questo?
Intendo dire che mai come oggi quella dell?impegno volontario appare, soprattutto nel mondo giovanile, come la forma principale, se non esclusiva, della propria socializzazione. Del proprio farsi essere sociale, partecipante alla ricerca di un bene comune. Non certo più l?impegno politico, la militanza in un partito, o in un gruppo ideologicamente orientato, com?era ancora un paio di decenni or sono, di fronte al paesaggio morale essiccato che quelle forme della politica presentano oggi. Piuttosto, e con sempre maggiore intensità, il mettersi in gioco in prima persona, direttamente tra le pieghe (e le piaghe) del sociale, con una logica di cooperazione anziché di competizione, di relazionalità anziché di potere, di azione diretta anziché di pratica delegata.
Una forma, anche – forse – di secessione dal mondo artificiale disegnato con la potenza della realtà virtuale dai media, gioco di specchi e fantasmi, avvelenato dal gossip e dalla rappresentazione narcisistica del sempre uguale. È così che la meglio gioventù trova qui il proprio modello di comportamento virtuoso. E tuttavia – e contemporaneamente a questo sfondamento in avanti e disponibilità molecolare – mai come oggi è percepibile – direi visibile ad occhio nudo -, la crisi delle forme associative dell?agire volontario. Quella spinta generosa, quella disponibilità spontanea, spesso si arresta alla soglia delle strutture organizzate. O se vi penetra, ne viene respinta o delusa. Troppo spesso le vecchie e le nuove strutture associative del volontariato hanno percorso, ad alta velocità, le stesse tappe dei loro omologhi nel campo della politica e dell?impresa. Si sono fatte più simili a un partito politico o a una lobby, il che è anche peggio. Hanno sacrificato il pensare al fare, e il possibile profitto etico al pareggio del bilancio economico. Alcune sono cresciute, fino a diventare grandi potenze, poteri forti, monopoliste del mercato dei sentimenti, non riuscendo a resistere alla tentazione di quotare quel surplus di notorietà e prestigio alla borsa del sistema politico. Con tutte le più buone intenzioni del mondo, intendiamoci: influenzare una legge che a sua volta influenza l?azione solidale è un buon motivo per trattare su tavoli d?ogni specie. Ma con un prezzo pagato, in termini di trasparenza e affidabilità etica forse troppo pesante.
Altre, rimaste troppo piccole, sono state coinvolte nella durissima lotta per la sopravvivenza, per far quadrare i conti, accettando tutto: appalti e commesse al massimo ribasso; attività sostitutiva dei compiti istituzionali dell?amministrazione pubblica, soprattutto locale; attività dequalificate e dequalificanti che nulla hanno a che fare con la vocazione solidaristica. Qualcuna si è addirittura assimilata ai peggiori apparati pubblici, accettando funzioni di sorveglianza e coercizione (penso ai famigerati Cpt, o a taluni campi nomadi), tollerando e coprendo comportamenti che sono agli antipodi di un?etica degna dell?impegno volontario.
Il risultato è stato l?individualizzazione del volontario. Un reticolo di atomi solidaristi ma soli. Di volontari personali potremmo dire (mutuando il termine dall?Aldo Bonomi dei capitalisti personali) determinati all?impegno nel sociale ma condannati a quella stessa a-socialità che vorrebbero combattere. A percorsi solitari, o in piccoli gruppi e in esili reti, con poche o nulle risorse a disposizione se non il proprio entusiasmo e la voglia di fare. Offrire loro una prospettiva che non sia la mera alternativa tra omologazione e testimonanza, è – credo – il compito, impellente, dell?anno che viene. Magari aprendo finalmente un dibattito franco (e per quanto possibile autocritico) sulla propria identità e sui propri valori all?interno di quel tessuto associativo che ancora alla vocazione originaria del volontariato crede.
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