La comunicazione Profit è diabolicamente efficace.
La comunicazione Non Profit è drammaticamente inefficace.
Un esempio.
1. “Regalati la gioia di Natale. Regalati il nuovo reggiseno senza ferretto”.
2. “E’ Natale. Nina è malata. Regalale le cure necessarie”.
Sono messaggi di due pubblicità. La prima confezionata dal Mondo Profit, la seconda da quello Non Profit (una specifica pleonastica, lo so, nella speranza che non siate stati colti dal dubbio).
Ora rispondete: “quale dei due spot vorreste vedere”?
Non dite “il secondo” perché non ci credo. Sono pressoché convinta che il 99% di voi sceglierebbe il “reggiseno di Natale”.
Le donne lo farebbero per capire se si possa fuggire dalla prigionia del ferretto anti gravità, gli uomini in quanto consapevoli che un’ammiccante e seducente donzella mostrerebbe, con allegria, il prodigioso prodotto.
Inutile scuotere la testa. Vi vedo.
Descriverò a questo punto, brevemente, gli spot.
Nel primo: una ragazza bellissima ondeggia, salta, canta e balla. Una musica pop vi trascina in quella stanza tutta colorata dove sembra che tutto sia leggero, gioioso. Poi lei si ferma, vi guarda dritta negli occhi e vi dice (e lo fa senza emettere alcun suono) che è così felice perché ha scoperto il reggiseno senza ferretto.
Nel secondo: immagini sfocate. Musica lugubre di sottofondo. Una bambina grida. Si vedono correre infermieri con flebo, siringhe. Siete insieme a Nina, su un letto d’ospedale. La telecamera stringe sugli occhi della bambina. Anche lei vi guarda dritta negli occhi ma in questo caso vi dice (e lo fa piangendo) che senza il vostro aiuto morirà.
Ora vi domando nuovamente: “quale di questi racconti vorreste guardare”?
Pensateci bene. Immaginate di aver avuto una giornata lunga e difficile. Siete finalmente sdraiati sul divano, con accanto i vostri figli che giocano e sorridono. State raccontando loro che tra poco arriverà Babbo Natale. L’atmosfera è leggera, spensierata.
Quale spot lascereste scorrere davanti a voi?
Il primo?
Risposta esatta!
E infatti siamo pieni di reggiseni senza ferretti, di barattoli di Nutella, di biscotti del Mulino Bianco, creme anti rughe, oggetti tecnologici mentre i bambini continuano a morire, subiscono torture, angherie, vengono abbandonati o costretti a combattere.
Le aziende che regalano “sogni” sono quotate in borsa, mentre le Associazioni, le Ong, le Onlus faticano a finanziare i progetti.
Forse il problema risiede nel messaggio e nel suo contenitore.
Nella pubblicità, chiamiamola Profit, non è l’oggetto il vero protagonista. Sei tu ( infatti il claim dice “REGALATI!”)
Loro ti vendono la salvezza, la tua personalissima ma assicurata salvezza.
Sarai migliore, più bello, più giovane, affascinante, felice, accettato. Sarai come la tizia che ti parla dallo schermo e che ti sembra dire: “Cosa stai aspettando? E’ così facile! Fai come me!”
Quindi uscirai da casa, entrerai in un negozio e vorrai quella nuova vita. Non importa se avrai nell’armadio solo un inutile oggetto in più, non fa niente se anche con il reggiseno nuovo non salterai o ballerai nella stanza.
Hai quella “cosa” lì che ti ricorderà che anche tu fai parte di quel mondo fantastico, veduto e vissuto anche solo per 1 minuto.
Nel non profit no. Lì è il bisogno reale e urgente l’unico vero protagonista. Ma è il bisogno degli altri, quelli che non sono seduti sul tuo divano e che non giocano con i tuoi figli.
Di te, lo spot, non parla (infatti il claim dice “REGALALE”). In quel minuto di immagini non c’è nessuna salvezza per te. Non sarai migliore, più giovane, affascinante. Nessuno te lo sta comunicando.
Ti stanno presentando l’angoscia del mondo dell’infanzia e della sua malattia. E tu non la vuoi vedere ma soprattutto preferisci ingrassare la gioia invece di entrare nel dolore.
La differenza è che il Profit parla del TUO vantaggio (non del suo).
Il Non Profit parla del vantaggio degli altri e del suo (non del tuo).
Il profit non racconta il problema e soprattutto non lo fa vedere. Ti coccola con le soluzioni.
E permettetemi a questo proposito una piccola digressione: anni fa, quando confezionavo solo “vite realizzate”, ci venne presentata una campagna pubblicitaria “fallimentare”. Era quella sui solari ad alta protezione. Non si vendette nemmeno un “pezzo”. Sapete perché? Si parlava di melanoma. La “malattia” venne sostituita da pelle “vellutata” e corpi marmorei, che fluttuavano su sabbia bianchissima, e le vendite ripresero. Già perché il consumatore deve sognare, non pensare ai rischi.
Il non profit nel raccontarti problemi degli altri, in qualche modo ti avverte della loro prossimità, li fa entrare in casa tua: potrebbero diventare tuoi e potresti essere responsabile se quella bambina morirà. Quindi?
Cambi canale. Corri, insomma, a comprati il reggiseno.
E allora cosa stiamo aspettando? Copiamo ciò che qualcun altro sa fare benissimo! Rubiamo i codici comunicativi del profit!
Raccontiamo i vantaggi del consumatore e regaliamogli la sensazione di entrare in un mondo meraviglioso.
Se il profit è riuscito a “costringere” le persone a ritenere fondamentali (per sé) cose superflue (per sé), il non profit potrebbe assolutamente “costringere” le persone a ritenere fondamentali (per sé) cose fondamentali (per sé e per altri).
Il fine può giustificare i mezzi e l’etica risiede nell’aiutare chi ha bisogno non nel difendere la purezza della forma.
Concludendo: attendo con ansia una pubblicità in cui una donna meravigliosa venga ammirata, seguita, osannata, non perché abbia messo due gocce di un profumo, guidi la nuova auto sportiva o indossi un reggiseno senza ferretto ma perché ha attivato un’adozione a distanza, ha fatto una donazione o mandato un sms solidale.
Sogno una fanciulla che salti, balli e canti perché ha aiutato Nina.
Sogno… una donna. Si muove sicura davanti allo specchio. E’ felice e mentre si guarda sorride. Poi, come per magia, lo spazio si riempie di persone che la guardano con ammirazione. Tutti l’abbracciano e le sussurrano parole nell’orecchio. Lei continua a sorridere e mostra la foto di una bambina. La telecamera stringe sulla sua bocca che pronuncia: “Perché io dono!”.
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