Cultura

Perché il mondo ha ancora fame/1

È la domanda a cui il vertice Fao dovrà dare una risposta. Vita ha girato le questioni cruciali a un grande esperto, Luca Colombo.

di Redazione

Chi è Luca Colombo, 37 anni, romano, è responsabile della Campagna ogm di Greenpeace. Agronomo, è uno dei cinque membri del consiglio direttivo del Comitato italiano per la sovranità alimentare, organismo che ha rappresentato in incontri internazionali e nei negoziati con la Fao. Ha scritto per la collana Terra Terra di Jaca Book il saggio Fame, produzione di cibo e sovranità alimentare. Ecco le sue risposte alle nostre faq. Perché ancora oggi il mondo ha fame? L?agricoltura produce cibo in quantità sufficiente a sfamare tutti. La sottonutrizione e la fame sono piuttosto figlie di uno squilibrio sociale ed economico grave, che vede milioni di persone prive, di fatto, dei diritti più elementari. A questo bisogna aggiungere l?affermazione di un sistema agroalimentare che si va concentrando sempre più nelle mani di pochi soggetti. Il vero dramma della fame è rappresentato dal fatto che il 75 per cento degli 800 milioni di sottonutriti vive nel mondo rurale. Gli squilibri di cui accennavo, si concentrano prevalentemente nelle campagne e impediscono ai contadini di nutrirsi. È il paradosso delle campagne affamate. Gli ogm potrebbero estirpare la fame? Gli ogm sono piuttosto la più recente e grave minaccia alla sicurezza alimentare. Sono tecnologia protetta da brevetti commerciali detenuti da un numero ristretto di multinazionali: tre o quattro gruppi industriali. Che gli ogm non servano lo dimostra il caso Argentina, il secondo produttore di transgenico nel mondo. Nonostante da oltre 6 anni quel Paese abbia aperto al biotech, i problemi di insufficienza alimentare si sono riacutizzati. D?altra parte gli ogm in commercio sono colture concepite per l?agricoltura industriale e prevalentemente per utilizzo zootecnico. Servono a sfamare gli animali e non gli uomini. Questo aggrava il quadro, non lo migliora. La globalizzazione aiuterà il Sud agricolo? È un concetto da demistificare. Solo il 10 per cento della produzione agricola viene scambiato su scala internazionale. Di questo, solo i 2/3 nei Paesi Ocse e 1/3 nei Paesi dell?Unione europea. Non siamo quindi in un contesto di globalizzazione. Lo sono, invece, le regole che l?Organizzazione mondiale per il commercio impone, in uno schema di liberismo. Fatto che costituisce una severa minaccia alle comunità contadine del Sud del mondo: non siamo infatti in un sistema che possa sostenere una competizione equa. Soprattutto siamo in un sistema commerciale che spinge i Paesi in via di sviluppo verso la produzione di prodotti tropicali o subtropicali come il caffè, il cacao, la frutta in un?ottica di esportazione. Una logica di globalizzazione che si rivela dannosa per vari motivi. Innanzitutto perché la maggior offerta di questi prodotti ne determina il crollo dei prezzi sui mercati internazionali e il vantaggio economico dei Paesi che hanno abbracciato le colture industriali diventa del tutto relativo. Intanto, però, le nuove colture hanno soppiantato quelle tradizionali che garantivano l?alimentazione di base e la sussistenza alla popolazione. Così la fame cresce. Molti Paesi che tradizionalmente coltivavano certe piante e che su queste basavano la propria economia, vanno in crisi per il crollo del loro export. È il caso dal caffè: l?ingresso del Vietnam fra i produttori ne ha determinato un rovinoso crollo dei prezzi. L?abbattimento delle barriere aiuterà l?agricoltura del Sud? Le barriere commerciali sono state abbattute nel Sud. In Nord Europa, Usa, Giappone l?abbattimento è stato piuttosto virtuale. Il Nord ha aggirato i vincoli posti dagli accordi internazionali e, di fatto, con il meccanismo della tariffazione doganale delle merci, le barriere sono aumentato in valore, anziché diminuire. L?obbligo della riduzione del 36% in termini assoluti è stato rispettato in base a medie di valore e non di volumi di import. Non essendoci obbligo a ?pesare? le riduzioni, i Paesi del Nord riescono a ridurre relativamente le tariffe su prodotti importanti e dai valori elevati, attuando le riduzioni su prodotti marginali. È il caso dell?aglio e dei lamponi, usati allo scopo da vari Paesi. Alla fine, nel Nord la media delle tariffe doganali agricole si attesta sul 27%, contro il 3,5% dei prodotti industriali. Senza contare che della liberalizzazione dei mercati beneficiano essenzialmente settori come il latifondismo, che rappresentano spesso la causa di molti squilibri. L?agricoltura del Nord è responsabile? C?è un rapporto diretto. Il Nord esercita un dumping fortissimo. Nel Nord esistono strumenti finanziari che sostengono le esportazioni e vengono immessi sul mercato, sottocosto, grandissimi quantitativi di merci di base. I mercati nazionali locali del Sud non possono che risentirne. Non si contesta il sostegno alla protezione interna, perché l?agricoltura non è solo produzione di alimenti ma anche tutela del territorio, delle risorse, cultura, ma il sistema del credito all?esportazione, che finisce per alterare gli equilibri. La Fao serve ancora? La Fao consente di fare sistema fra le varie agricolture del pianeta, di determinare valore aggiunto nello scambio delle informazioni, di formare di tecnici. È chiaro che non serve un carrozzone, ci vuole un?azione efficace, un?agenzia autonoma, sganciata dagli interessi forti di alcuni governi. La Fao deve ridurre gli sprechi e rendere più efficace la sua azione. Ma si deve ricordare che per risolvere il problema della fame ci vogliono interventi strutturali, politiche efficaci nel tempo. Non si risolve il problema con l?aiuto caritatevole.


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