Volontariato

Perché il debito è un peccato

Nord-sud. Parla il cardinale Attilio Nicora promotore di Giustizia e solidarietà.

di Paolo Manzo

«Dovevo fare l?avvocato, poi ho cambiato? mestiere». Attilio Nicora, nato a Varese 68 anni fa, professione ?cardinale di Curia?, sa di essere intelligente ma ama la modestia e la precisione, come del resto impone la sua ?professione?. Uomo di Chiesa ma anche abituato a far quadrare i conti, all?epoca del Giubileo era presidente del Comitato ecclesiale per la riduzione del debito estero dei Paesi più poveri, e fu tra i più attivi nell?accogliere l?invito di Giovanni Paolo II per l?abolizione di questa schiavitù che si chiama debito e che oggi attanaglia il Sud del mondo. è stato lui a guidare la Campagna ecclesiale per la riduzione del debito estero dei Paesi più poveri tramite il comitato, oggi trasformatosi nella fondazione Giustizia e solidarietà, presieduto da monsignor Fernando Charrier. Oggi non è un cardinale preposto a una diocesi, ma è stato «chiamato dal Papa a collaborare con lui nell?ambito della Curia romana, cioè quell?organismo complesso di cui si serve il Papa per il governo pastorale della Chiesa nel mondo». A lui che vive in piazza Città Leonina, nell?appartamento sopra a quello che sino a poche settimane ospitava Joseph Ratzinger («lo sentivo suonare il piano», ci confida), è stato affidato il compito dell?amministrazione del patrimonio della Sede apostolica, «affinché con la redditività di questo patrimonio, sperabilmente ben amministrato, si possano sostenere le spese che la Curia romana deve affrontare per tutta una serie di compiti che le sono affidati». Vita: A cinque anni dal Giubileo, facciamo un bilancio sulla campagna ecclesiale per la riduzione del debito estero dei Paesi poveri? Attilio Nicora: Mi pare si possano distinguere due fasi. Sulla prima, lo svolgimento della campagna del 2000, il giudizio rimane positivo. Ne fui compartecipe e promotore con altri, fu molto bello per la serie di incontri, riflessioni e sensibilità che raccolsi girando per l?Italia, e anche il risultato concreto – furono raccolti 35 miliardi di lire – fu comunque significativo. Soprattutto per l?aspetto educativo perché, al di là dell?Anno Santo, si sapeva che il vero problema sarebbe stato stimolare modi nuovi di affrontare un problema drammatico come il debito. La seconda fase la conosco meno, perché ho accompagnato ancora per un anno e mezzo la fase di trasformazione del Comitato nella Fondazione, poi ho cambiato lavoro. Vita: Lei ha più volte auspicato un approccio giuridico alla drammatica questione del debito estero dei Paesi poveri. Cosa intende nello specifico? Nicora: La convinzione è che bisognerebbe cercare, per dirla in maniera molto breve e un po? inevitabilmente superficiale, di trasportare a livello delle relazioni fra Stati ciò che l?evoluzione giuridica ha sviluppato in maniera molto raffinata negli ordinamenti interni degli Stati a proposito delle relazioni tra soggetti personali. Le faccio un esempio. Il fallimento di un?azienda negli ordinamenti nazionali è rigorosamente disciplinato, per cercare un punto di equilibrio fra tutti gli interessi che sono in gioco in una logica sperabilmente di giustizia. Il fallimento di uno Stato, invece, dal punto di vista delle sue risorse finanziarie non è assolutamente previsto nel diritto internazionale e tutto si risolve sulla base di accordi e convenzioni elaborate in conferenze quasi sempre dominate dai Paesi forti. E, quindi, c?è il rischio che se non interviene un qualche aspetto normativo, la legge del più forte prevalga. Vita: Soluzioni percorribili, a suo avviso? Nicora: Nella legge italiana approvata, la 209 del 2000, c?è un cenno in cui si stimola il governo a tenere vivo il cammino che si potrebbe percorrere in sede Onu, per formare almeno una ?criteriologia orientativa?, se non una vera e propria normativa stringente. Sono però imprese complesse e lunghe, che presuppongono competenze e, soprattutto, molta determinazione. Io ho l?impressione che l?opinione pubblica italiana che all?epoca del Giubileo rispose molto bene (e la legge del 2000 è frutto anche di quella sensibilità diffusa), oggi abbia perso un po? di colpi. Anche se c?è da riconoscere che il governo italiano le sue remissioni di debito le ha fatte. Non tutte ma ne ha fatte un buon numero, 27 in tutto. Vita: Il sistema Hipc si è rivelato troppo lento, il caso Zambia è sintomatico. Che modifiche apporterebbe? Nicora: Bisognerebbe riuscire a mettere attorno a un tavolo di riflessione libera, seria e responsabile le due parti. Non soltanto i Paesi che conducono la danza, ma anche i Paesi debitori, i quali troppe volte si trovano di fronte a scelte operate dagli altri, senza poter rappresentare realmente le loro esigenze. Credo che sia un problema di metodo, prima ancora che un problema di nuovi criteri. Bisognerebbe che i Paesi poveri fossero veramente interlocutori alla pari con gli altri. Vita: Cosa che attualmente non è? Nicora: Cosa quanto meno difficile. Anche perché tra di loro sono molto divisi ed esposti ai ricatti dell?una o dell?altra ex potenza, che hanno il coltello dalla parte del manico. Vita: Giovanni Paolo II, nel discorso agli ambasciatori del 2001, disse che che non aiutare i poveri è peccato mortale. In quest?ottica, il mancato rispetto dell?obiettivo dello 0,7% del Pil alla cooperazione internazionale da parte dello Stato italiano è da considerarsi peccato veniale o peccato mortale? Nicora: Non accetto la terminologia, nel senso che i peccati sono personali e non collettivi. La dimensione collettiva Giovanni Paolo II l?aveva presa in esame in vari documenti parlando di strutture di peccato, che è già una cosa un po? più complessa e sottile. Vita: Di che si tratta? Nicora: Nella storia si possono realizzare, apparentemente senza colpa di nessuno però alla lunga con la colpa di tutti, strutture generatrici di effetti talmente lesivi della giustizia e della carità che sollevano un grosso problema di responsabilità morale. In questo senso, il non tenere viva la prospettiva dello 0,7% del Pil – che era già un minimo come apporto alla cooperazione internazionale – è un profilo che ripropone a tutti noi il problema delle scelte, cioè che cosa ci sta più a cuore. Le risorse sono limitate, però resta il problema: quelle che abbiamo, secondo quale criterio di valori le vogliamo investire? Sul lungo periodo non sarebbe vantaggioso – mi passi l?espressione – essere più generosi con il terzo mondo? Non si rischia di peccare un po? di cecità strategica, limitandosi a guardare le cose sull?oggi? Questi sono interrogativi che si dovrebbe tenere vivi nella coscienza comune, evitando di tradurli subito in pro o contro il governo o l?opposizione, perché sono un problema di cultura e di responsabilità sociale e civile. Vita: Qual è il ruolo delle ong nel combattere la povertà del Sud del mondo? Nicora: Il valore e il ruolo delle ong italiane è nella linea della sussidiarietà. Gli apparati pubblici sono importanti perché è chiaro che problemi così spaventosi vanno affrontati anche con i grandi mezzi, però soprattutto l?accompagnamento, la prossimità, la presenza che incoraggia, sostiene e diventa formativa e propulsiva sul territorio dei Paesi poveri, viene realizzato molto meglio dalle ong. Le organizzazioni non governative sono una ricchezza enorme che sarebbe auspicabile cresca e non diminuisca, sapendo per altro che, anche qui, molto dipende dall?intensità dei valori che corrono nella società. Purtroppo ho l?impressione che qualche anno fa ci fosse più passione e, da esterno, ho come la sensazione che si sia un po? attenuata la loro propulsività. Vita: Non crede che sarebbe un bene che anche la Cei contribuisse di più alla lotta contro la povertà nel Sud del mondo, tramite le entrate dell?8 per mille? Nicora: Oramai con la Cei non ho assolutamente alcun rapporto, non sono più membro perché non sono vescovo in Italia e quindi? Inoltre è poco simpatico andare a fare i conti in casa d?altri. Comunque mi pare che in questi anni una certa crescita ci sia stata. E poi c?è il problema del recuperare, anche in Italia, ataviche necessità che per decenni o per secoli non erano mai state soddisfatte. Insomma, non è che anche in Italia manchino urgenze, quindi? è sempre difficile trovare i punti di equilibrio. Vita: Insomma ci sono parecchi Sud del mondo anche in Italia. Nicora: Purtroppo sì. Vita: C?è chi critica il progresso in quanto portatore di uno strano nuovo binomio, che tenta di fare diventare diritti i desideri. Che ne pensa? Nicora: Sinora il progresso era stato fare diventare diritti i bisogni fondamentali, adesso c?è il tentativo di fare diventare diritti i desideri. E questo è pericolosissimo secondo me. Anche perché dissipa risorse. E poi alla pietà e alla giustizia tende a sostituirsi un concetto libertario e una pratica libertina della libertà. Cioè la libertà sganciata dalla responsabilità. Questo è il dramma. Una libertà che alla fine dimentica il vincolo con gli altri che è un vincolo ontologico e si celebra in maniera assoluta fino a rinnegarsi, fino a darsi la morte, pretesa come diritto. Ecco, io credo che di fronte a sfide di questo genere, un ritrovato rapporto costruttivo e reciprocamente rispettoso tra l?apporto della fede e della pietà cristiana e i grandi temi dei diritti umani e della ricerca di una giustizia efficace, diventi molto prezioso. Un convegno e un rapporto Bilancio di cinque anni Debito estero: a cinque anni dal Giubileo. Questo il nome del seminario che venerdì 13 maggio si svolge a Milano. Alle 14,30 all?università Cattolica viene presentato Impegni di Giustizia. Rapporto sul debito 2000-2005 (Emi, 256 pagg., 14 euro). Un lavoro condotto dalla Fondazione Giustizia e solidarietà, presieduta da monsignor Fernando Charrier (che è presente al seminario), in cui si trova un?analisi di quanto è avvenuto a livello internazionale e italiano sulla cancellazione del debito estero dei Paesi poveri, insieme alla presentazione dei risultati del primo anno di attività del Fondo di conversione del debito realizzato in Guinea Conakry e alla descrizione della situazione del negoziato in Zambia. Tra gli ospiti il rettore Ornaghi, l?arcivescovo di Milano, Tettamanzi e Riccardo Moro, direttore della Fondazione Giustizia e solidarietà. Dalle 21, al Pime, il cardinale Attilio Nicora parla della cancellazione del debito nei due Paesi africani, assieme a ospiti zambiani e guineani.


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