Cultura
Perché il 13 giugno è stato un bel giorno
Leditoriale di Giuseppe Frangi.
Se ci sono dei grandi sconfitti al referendum del 13 giugno sono i distributori di certezze a buon mercato. Come i vari professoroni che volevano convincere l?Italia di avere la bacchetta magica per sistemare malattie di ogni tipo. Come le soubrette, improbabili testimonial della ricerca, che scoprono inconfessate vocazioni alla maternità. Come i vari pontificatori che hanno schierato i grandi giornali (e quindi, si presume, anche i loro padroni) compattamente sulle ragioni del Sì. Davanti a una materia così delicata e così ancora densa di mistero, chi pretendeva di avere le idee graniticamente chiare evidentemente barava: senza dover necessariamente condividerne i presupposti religiosi, il fronte dell?astensione obbediva almeno a quel principio di precauzione che è elemento irrinunciabile in ogni concezione non intollerante e non mercantile della vita.
Questo referendum dunque ha sicuramente tanti sconfitti, ma (e questo è un augurio) non ha vincitori: il fatto stesso che chi può dirsi soddisfatto del risultato in realtà si sia, per scelta strategica, sottratto alla sfida, lo consideriamo un segnale beneaugurante. Perché il nostro Paese, già così depresso nel suo Pil, ha bisogno di tutto meno che di incagliarsi in un altro conflitto bipolare: un conflitto etico.
Chi l?ha spuntata, ha convinto gli italiani in forza di un richiamo alla prudenza. E soprattutto alla pazienza. E sarebbe davvero un peccato se, per colpa di qualche fondamentalista mediatico (tanto per far nomi: Giuliano Ferrara o Giovanni Sartori), che non vede l?ora di ingaggiare guerre per trovare ragioni di esistenza, si sprecasse questo grande patrimonio di moderazione e di rispetto per la vita in ogni sua forma. E quindi, ovviamente, anche nella forma di chi ha sensibilità diverse della nostra.
C?è un fil rouge che unisce questa Italia che ha scelto deliberatamente di non scegliere, che ha fatto un passo indietro riconoscendosi inadeguata ad esprimersi su una materia tanto complessa, e quell?altra Italia che qualche anno fa avevamo visto mobilitarsi per difendere le ragioni, non solo politiche, della pace (fosse ancora vivo, ne siamo certi, il grande Mario Luzi avrebbe condiviso questa analogia).
Qualche settimana fa eravamo in Brianza all?inaugurazione del centro di Lesmo dove, grazie all?intelligenza e all?intraprendenza di un?associazione come la Lega del Filo d?Oro, è sorto uno straordinario villaggio destinato ad accogliere 56 persone colpite da gravissimi handicap. Girando per quelle stanze studiate nei minimi particolari, con un?attenzione che solo l?amore per il destino di quelle persone poteva spiegare, insieme allo stupore, ci ha preso un dubbio. Il dubbio di come fosse possibile che quell?Italia capace di opere come questa che era davanti ai nostri occhi fosse lo stesso Paese che si preparava a liquidare in maniera sommaria un problema tanto delicato come quello proposto dai quesiti referendari.
Il dubbio era lecito, ma l?esito del 13 giugno per fortuna ce lo ha sciolto: l?Italia è ancora quel Paese paziente che si prende la briga di costruire un monumento di accoglienza per 56 persone che non potranno mia produrre nulla secondo la logica egemone del mercato. Noi tifiamo per questa Italia, dove c?è posto per tutti.
Anche per chi dovrà viverci domani.
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