Cultura

Perché essere grati a papa Ratzinger

Editoriale

di Giuseppe Frangi

«Nemmeno Paolo VI, negli anni del terrorismo e della crisi teologica, aveva conosciuto quanto sia arduo e terribile rivolgere agli uomini una parola di quiete». Iniziava così la lunga riflessione di Claudio Magris pubblicata settimana scorsa in prima pagina su Repubblica, dedicata a questo momento della vita della Chiesa cattolica. Un riferimento efficace, perché chi ha in mente gli ultimi anni di papa Montini, certamente ricorda il tono davvero drammatico delle parole e dei gesti. Oggi sembra di rivivere quella situazione: il fatto che Benedetto XVI non lasci trasparire la sofferenza che i fatti interni ed esterni alla Chiesa gli procurano, non vuol dire che quella sofferenza sia meno acuta.
Ed è proprio questa situazione che ci induce a fare un ragionamento molto laico sulla figura di papa Ratzinger. Lui ha preso in eredità una Chiesa che veniva dagli anni trionfanti di Wojtyla, una Chiesa che, a dispetto della secolarizzazione, aveva saputo conquistarsi un suo spazio addirittura a livello globale. Era improbo continuare su quella strada, specie per un personaggio refrattario alla spettacolarità come Ratzinger. Tutti quindi lo attendevano al varco di una rigidità dottrinale che avrebbe tagliato i ponti con il mondo. Un Papa di destra, culturalmente arroccato, distante dalle grandi questioni che travagliano il mondo: così era stato inquadrato Ratzinger, dopo la sua elezione.
Oggi il bilancio è invece profondamente diverso. Il Papa che avrebbe dovuto riaprire lo scontro tra la Chiesa e il mondo, è stato invece il più intransigente nel chiedere chiarezza su quel che nella Chiesa sta accadendo. Sullo scandalo pedofilia non ha cercato né accettato scuse o sconti. Impressionante la lucidità con cui, nel viaggio a Fatima, ha chiarito i termini della questione: «Oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa e che la Chiesa quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia».
E non c’è solo la crisi della Chiesa. C’è anche la crisi di un modello economico che ha scatenato paure nella vita di tutti. E il Papa, che si è sentito interpellato da questa angoscia diffusa, in questi anni non ha fatto sconti a chi in nome di «pragmatismo economico, che prescinde dalla realtà dell’uomo» ha creato povertà, disoccupazione e incertezza sul futuro. Lucidissima la sua analisi, fatta davanti ai giornalisti sempre verso Fatima: «Gli ultimi avvenimenti sul mercato, in questi ultimi anni, hanno mostrato che la dimensione etica è interna e deve entrare nell’interno dell’agire economico». E ha evocato la necessità di «una razionalità “performata” dall’etica».
Il Papa che non ci aspettavamo sempre più si sta dimostrando sponda preziosa per chi non fa parte di nessuna casta e sia ancora mosso da una passione per la realtà. Il momento che viviamo è profondamente drammatico, ma il Papa con determinazione e sobrietà suggerisce a tutti un metodo per come affrontarlo.

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