Mondo
Perché è stato ucciso?
Padre Fausto, missionario del Pime, subiva minacce per il suo lavoro fra le popolazioni di Mindanao
Diversi anni fa ci aveva raccontato come era riuscito a scampare a un attentato grazie all’aiuto dei manobos: gli indigeni con i quali lottava da anni per salvare la terra l’avevano aiutato a nascondersi nella foresta.
Non sono ancora noti i moventi dell’assassinio di padre Fausto Tentorio, 59 anni, missionario del Pime nelle Filippine freddato stamattina da un killer davanti alla sua parrocchia di Arakan, nell’isola di Mindanao.
È certo però che padre Fausto non era un uomo che si teneva fuori dai problemi scottanti che riguardavano le comunità fra le quali viveva. Da oltre 32 anni lavorava a stretto contatto con i Manobos, e aveva lottato con loro per difendere l’ultimo lembo di foresta dal disboscamento messo in atto dalle compagnie del legname.
In un’intervista concessa a Vita anni fa ci raccontava il paradosso di queste comunità che da sempre vivevano nell’Arakan Valley: dei 75 mila ettari di terra della valle agli indigeni ne erano rimasti solo 15 mila. Le compagnie del legname, contando su importanti appoggi a livello politico, erano riuscite a farsi concedere tutto il resto della terra, che era stata progressivamente spogliata dagli alberi e dalla foresta vergine.
Negli anni ’90 padre Fausto aveva aiutato i Manobos a organizzarsi per salvare almeno il monte Sinaka, la “schiena del Dio”, ovvero il monte sacro dei Manobos, dove era rimasto l’ultimo pezzo di foresta. Aveva sostenuto la nascita di Malupa (MAnobo LUmandong PAnaghiusa), cioè l’associazione dei tribali manobos, composta da un buon numero di leader indigeni e di persone coinvolte nel recupero degli spazi e dei valori tradizionali.
Non era stato facile opporsi ad alcune compagnie del legname che con guardie private controllavano l’area. Ma i manobos alla fine ce l’avevano fatta, avevano ottenuto la tutela del governo tramite una legge che riconosceva il diritto ancestrale alla terra.
Sul sito Missionline, il Pime scrive che «l’uccisione di padre Tentorio non è legata al fondamentalismo islamico, ma alla difesa delle popolazioni indigene di Mindanao».
La morte di padre Tentorio è un nuovo capitolo in quel volto del martirio che da tanti anni ormai contraddistingue la presenza del Pime a Mindanao. «Prima di lui qui hanno donato la loro vita per il Vangelo già altri due missionari del Pime: padre Tullio Favali, ucciso nel 1985, e padre Salvatore Carzedda, ucciso nel 1992» prosegue Missionline. «Altri due missionari del Pime, in anni ancora più recenti, hanno subito un rapimento: padre Luciano Benedetti nel 1998 e padre Giancarlo Bossi nel 2007. Padre Tentorio stesso era già sfuggito a un agguato nel 2003: clicca qui per leggere sul blog del Pime delle Filippine come lui stesso aveva raccontato questa esperienza».
«Padre Fausto – racconta padre Luciano Benedetti, anche lui missionario del Pime nelle Filippine da poco rientrato in Italia – era minacciato da tempo per il lavoro che svolgeva da tempo nella difesa delle terre dei manobo. Terre che fanno gola in una zona ricca di risorese minerarie. Già otto anni fa, protettto dalle. popolazione locali, si era salvato solo stando nascosto mezza giornata in un armadio. E ancora due anni fa era stato fatto oggetto di nuove minacce».
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