Norme
Perché è a rischio la trasparenza sull’export delle armi
La legge 185 del 1990 regola l'export di armi italiane e prevede il divieto di vendita nei Paesi in cui si verificano gravi violazioni dei diritti umani. Ora un disegno di legge potrebbe peggiorare la norma riducendone i criteri di trasparenza. La “Rete Italiana Pace e Disarmo” ha lanciato una petizione per chiedere ai deputati di non svuotare la norma considerata una conquista da tutta la società civile italiana
di Anna Spena
A breve in discussione alla Camera dei deputati il disegno di Legge di iniziativa governativa che modifica la normativa italiana sull’esportazione di armi.
Partiamo dall’inizio: la legge in questione è la 185 del 1990, una norma considerata innovativa perché la prima volta sono stati inseriti dei criteri non economici nella valutazione di autorizzazione delle vendite estere di armi italiane. Questa legge è considerata una grande conquista della società civile, laica e cattolica.
Anche se di fatto la legge 185 – che prevede il divieto di invio di armi verso Paesi in conflitto e in cui ci siano gravi violazioni dei diritti umani – non è stata in grado di fermare esportazioni di sistemi militari con impatti molto negativi, è indubbio il ruolo di trasparenza che ha avuto. Permettendo al Parlamento e alla società civile di conoscere i dettagli di questo mercato.
Se si cancellano i meccanismi di trasparenza
Il 21 febbraio del 2024 il Senato ha approvato il disegno di legge che cancella i meccanismi di trasparenza e controllo parlamentare sul commercio e le esportazioni di armi e sulle banche che finanziano queste operazioni. Il testo è ora passato alla Camera e sarà esaminato dalle Commissioni riunite esteri e difesa e si prevede che arriverà in aula a maggio. Sono già decine le organizzazioni della società civile a chiedere ai deputati di modificare il disegno di legge per ripristinare il controllo del Parlamento sull’export di armi. «La Rete Italiana Pace e Disarmo», spiega Matteo Fadda, presidente dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che aderisce alla Rete, «ha seguito tutto l’iter parlamentare per le modalità con cui si sta tentando di modificare la normativa. Ostacolare la trasparenza della legge favorisce la giustificazione di uno strumento che di per sé non può avere dei fini etici perché i temi in questione sono il mercato delle armi e la loro costruzione».
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Il nodo da sciogliere
L’analisi del testo del ddl «rivela infatti», come si legge nella nota delle Rete, «l’intenzione di implementare strutture e procedure di applicazione dei principi e dei criteri della Legge nella direzione di un controllo meno rigoroso soprattutto a livello di autorizzazioni e, di conseguenza, di una maggiore facilitazione delle esportazioni di armamenti militari a livello globale. In particolare, facendo assumere al nuovo Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa – Cisd il compito di “applicare divieti” di esportazione dei materiali d’armamento stabiliti dalle norme nazionali e internazionali, si intende di fatto sottoporre la decisione ad un giudizio più di tipo politico che giuridico».
«La Rete Pace Disarmo», spiega Fadda, «aveva sottolineato con preoccupazione questi tentativi, ribadendo con forza come ci sia invece la necessità di applicare in modo rigoroso e trasparente la Legge 185/90 e le norme internazionali che la rafforzano».
La Rete spiega che «le motivazioni poste alla base di questo tentativo di modifica della legge appaiono pretestuose in relazione soprattutto a fantomatiche difficoltà, rispetto a concorrenti europei e internazionali, dell’industria militare italiana a realizzare contratti di vendita». Ma gli stessi dati governativi dimostrano che c’è una continua crescita nel volume di autorizzazioni e soprattutto di consegne all’estero di materiali d’armamento. «Da evidenziare», dice Fadda, «come nell’ultimo periodo sia progressivamente aumentato anche il numero totale di Stati clienti raggiunti dagli armamenti italiani, dato che pone il nostro Paese ai primi posti nel commercio mondiale di armamenti».
«Non è vero», ripetono dalla Rete, «che c’è un problema di eccessivi controlli sull’esportazione di armi italiane e non è vero che questa modifica della Legge185/90 favorirà una maggiore sicurezza per l’Italia in un momento di crisi internazionale. Al contrario facilitare la vendita all’estero di armi che sicuramente finiranno nelle zone più conflittuali del mondo aumenterà l’insicurezza globale, e quindi anche quella di tutti noi, solo per garantire un facile profitto di pochi. Sappiamo bene che questa modifica della Legge 185/90 parte da lontano perché da anni la lobby dell’industria militare i centri di ricerca e di pressione ad essa collegati chiedono a gran voce di poter praticamente liberalizzare l’export di armi. A chi fa affari vendendo nel mondo armi e sistemi militari non fa piacere che ci sia trasparenza e controllo anche da parte della società civile, oltre che allineamento con principi che non prendono in considerazione solo i fatturati».
L’export di armi
Nonostante la legge, i sistemi d’arma italiani sono stati e sono tuttora inviati in situazioni di violazione diritti umani, di presenza di regimi autoritari come invece sarebbe e espressamente vietato dalle norme in vigore. Riducendo ulteriormente l’attenzione nell’applicazione dei criteri di rilascio delle licenze e la capacità di controllo del Parlamento e della società civile, quindi venendo a mancare l’elemento della trasparenza, il rischio è che queste situazioni, già problematiche, potranno che peggiorare. Riportando così l’Italia ad uno stato di opacità e debole regolazione della vendita di armi cui era stato posto un freno proprio con l’approvazione dell’innovativa Legge 185 del 1990. «Quello che noi cerchiamo di testimone anche con Operazione Colomba, il corpo di pace non violento dell’associazione Papa Giovanni XXIII, è che per costruire la pace bisogna utilizzare altri strumenti: il dialogo, la solidarietà, la mediazione. Non possiamo guardare alle guerre come strumenti di difesa e chiamare gli interventi di pace “azioni di difesa internazionale”», dice Fadda. «Le armi sono create per distruggere, non per costruire. Dobbiamo investire di più sulla resistenza pacifica. Dovremmo investire di più in leggi che promuovano davvero la pace. Prima c’era il ministero della guerra, che poi è diventato il ministero della difesa. E un ministero della pace quando? Tutte le modifiche che si vogliono apportare alle legge sono preoccupanti. Ci serve più trasparenza, non meno trasparenza. Ogni modifica che si vuole apportare se passerà andrà a nascondere sempre di più chi con la guerra si arricchisce».
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Le richieste della Rete Pace e Disarmo
- Fare in modo che la reintroduzione del Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa – Cisd, utile luogo di presa di responsabilità da parte della politica sulle questioni riguardanti l’export di armi, non si trasformi in un “via libera” preventivo a qualsiasi vendita di armi ma sia sempre bilanciato dall’analisi tecnica e informata degli uffici preposti presso la Presidenza del Consiglio, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il Ministero della Difesa.
- Inserire nella norma nazionale un richiamo esplicito al Trattato sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty) – che non era presente nel testo originario della Legge 185/90 in quanto entrato in vigore solo nel 2014 – e ai suoi principi e criteri decisionali che hanno precedenza sulle leggi nazionali, con forza normativa maggiore di natura internazionale.
- Migliorare la trasparenza complessiva sull’export di armi rendendo più completi e leggibili i dati della Relazione al Parlamento, in particolare contenendo indicazioni analitiche per tipi, quantità, valori monetari e Paesi destinatari delle armi autorizzate con esplicitazione del numero della autorizzazione del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, gli stati di avanzamento annuali sulle esportazioni, importazioni e transiti di materiali di armamento e sulle esportazioni di servizi oggetto dei controlli e delle autorizzazioni previste dalla legge.
- Impedire la cancellazione integrale della parte della Relazione annuale al Parlamento che riporta i dettagli dell’interazione tra banche e aziende militari.
- Impedire l’eliminazione dell’Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di armamento presso la Presidenza del Consiglio, unico che potrebbe avanzare pareri, informazioni e proposte per la riconversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa.
- Reintrodurre la possibilità per il Cisd di ricevere informazioni sul rispetto dei diritti umani anche da parte delle organizzazioni riconosciute dall’Onu e dall’Unione Europea e da parte delle organizzazioni non governative riconosciute”.
L’appello della società civile
La Rete Italiana Pace Disarmo lancia una petizione “Basta favori ai mercanti di armi! Fermiamo lo svuotamento della Legge 185/90“: «Lo facciamo insieme a tutta la società civile che non vuole rassegnarsi al fatto che sia solo il profitto di pochi a dover guidare le scelte sull’export di armi (che ha invece importanti ripercussioni sulla politica estera e sui diritti umani)».
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