Non profit
Perché don Gnocchi non amava le maiuscole
La beatificazione è stata l'occasione di una sorprendente riscoperta
di Redazione

Si sentiva investito da ciò che la realtà gli metteva davanti.
E rispondeva a quei bisogni senza retorica e senza miracolismi. Per questo oggi è così moderno C’è un bambino senza una gamba; un uomo si ferma, lo guarda e si chiede: «Dove posso farlo giocare a pallone?». Non tutti, per fortuna bisogna riconoscere, si fermano a guardare e a pensare a quel bambino. Vi sono infatti altre questioni, senza alcun dubbio più importanti, a cui prestare attenzione; ad esempio c’è un Paese da ricostruire, l’economia da rimettere in moto, la disoccupazione da contrastare o, per restare all’attualità, l’inquinamento atmosferico da porre sotto controllo. Eppure quell’uomo, per certi aspetti astrattamente, si ferma di fronte a quel singolo bambino e, senza sottovalutare o peggio negare tutte le altre questioni che travagliano la vita, continua a porsi lo stesso interrogativo: «Dove, e quindi come, posso farlo giocare a pallone?».
Tale domanda è la sua questione. È fin troppo ovvio che vi sia dell’altro, molto altro, eppure è altrettanto evidente come quella questione non gli dia pace, sia la sua unica questione, la sola ch’egli non potrebbe mai disertare senza venire meno addirittura a se stesso. Chissà perché quell’uomo si è fermato di fronte a quel bambino, forse perché quella era la sua indole, il suo carattere, o forse perché la sua esperienza, fatta come per chiunque altro di incontri e circostanze, lo ha condotto, quasi obbligato, ad una simile attenzione; ma al di là di tutto questo, l’unica cosa certa è che egli non ha potuto non rispondere all’appello che lo ha investito a partire da quell’assenza, quella della gamba.
Nella più bella storia d’amore che abbia letto, in Shosha di Isaac B. Singer, il protagonista, uno scrittore colto e famoso, un certo giorno si ferma a guardare la sua cameriera polacca, Tekla, e pensando alle altre donne della sua vita osserva: «Pensavo: questa è la gente vera, quella che fa girare il mondo. Servono come prova che hanno ragione i cabbalisti, non Feitelzohn. Un Dio indifferente, un Dio folle non potrebbe avere creato Tekla. Mi sentii provvisoriamente innamorato di quella ragazza. Le sue guance avevano il colore delle mele mature. Esprimeva un’energia che ha le sue radici nella terra, nel sole, in tutto l’universo. Non voleva migliorare il mondo come Dora; non pretendeva parti ed interviste come Betty; non cercava esperienze eccitanti come Celia. Voleva dare, non prendere. Se il popolo polacco era riuscito a produrre anche una sola Tekla, aveva certamente compiuto la sua missione».
Forse don Gnocchi apparteneva alla stessa umanità testimoniata da Tekla. Cresciuto in quella tradizione cattolica che nonostante tutto, restando fedele al suo maestro e al principio dell’incarnazione, ha sempre diffidato delle maiuscole, anche e soprattutto quando esse si riferiscono all’Amore, alla Verità, allo Spirito, ecc., egli optò per le minuscole, senza voler migliorare il mondo, senza voler cambiare l’uomo, senza voler salvare nessuno. Certo, si è sempre trattato dell’uomo ma in un certo senso mai dell’umanità, si è sempre trattato non del cielo ma della terra, del cielo/terra di quel bambino e di quella assenza della sua gamba. Come Tekla, voleva dare, non prendere.
Un caro amico mi faceva acutamente notare come nella vicenda del miracolo così tanto atteso ci fosse dello stile. In effetti; le maiuscole sono sempre maiuscole, ingombranti, difficili, complesse, non si sa mai che cosa vogliono o pretendono di esprimere. I miracoli sono più facili e meno ambigui, si sa di che cosa parlano: un campo di calcio, una casa con rampe e appoggi, qualcuno che ti sorregge e cerca di rieducarti, magari dopo un coma, a riallacciarti ancora le stringhe delle scarpe. Questo è il vantaggio dei miracoli: nessuna enfasi, a terra, sempre con i piedi per terra.
Consiglio, per chi avesse un’ora libera e volesse concedersi il lusso di fermarsi un po’, di fare visita ad un centro don Gnocchi, ad esempio a quello di Milano in via Capecelatro, dove c’è la tomba del beato e anche un bel giardino, estremamente curato. Basta andare lì, sedersi sulle panchine, magari recandosi alle macchinette del caffè o in mensa, e guardare. Lo garantisco, non si dovranno attendere cinquant’anni per vedere.
Vuoi accedere all'archivio di VITA?
Con un abbonamento annuale potrai sfogliare più di 50 numeri del nostro magazine, da gennaio 2020 ad oggi: ogni numero una storia sempre attuale. Oltre a tutti i contenuti extra come le newsletter tematiche, i podcast, le infografiche e gli approfondimenti.