Politica

Perché andrò a votare contento

di Franco Bomprezzi

Domenica mattina, di buon’ora, andrò nel mio seggio con il sorriso sulle labbra, e mi farò dare tutte le schede per votare i referendum. Quattro nazionali, cinque solo milanesi. Una scorpacciata di croci da mettere con la matita copiativa. Spero che me la diano bene appuntita ma non troppo, sennò si spezza subito con la pressione. Preferisco quando è a metà. Vuol dire che è stata già usata parecchio, e che dunque, prima di me, sono arrivati ad esercitare uno dei più splendidi diritti della democrazia tanti altri cittadini orgogliosi di esserlo.

Farò attenzione a non sovrapporre le schede, starò in cabina con calma, ingombrandola, come sempre, con la mia sedia a rotelle, dopo aver chiesto aiuto, ancora una volta, a vigili urbani e uscieri per superare quei tre gradini che fino ad ora il Comune non ha saputo rimuovere, in quella vecchia scuola elementare alla periferia Nord di Milano. Voterò in piena coscienza e libertà, come ho sempre fatto, da quando sono maggiorenne, ossia dal 1970 in poi. Ho sempre votato. Per me è una festa, un momento di identità, di cittadinanza, di celebrazione dei diritti.

Voterò volentieri perché i quesiti sono seri, riguardano beni fondamentali, come l’acqua, l’energia, il rispetto dell’equilibrio fra il potere giudiziario e quello politico. Si possono avere idee diverse, votare sì oppure no, oppure astenersi. Ma votare è comunque una scelta importante, specialmente adesso. Certo, è un diritto quello di non esercitare un diritto. Nessuno mi punirebbe se non andassi a votare. Ma io mi sentirei più povero, proverei disagio, insoddisfazione. Saprei in anticipo di non aver contribuito in alcun modo a decidere, col mio voto, su questioni importanti, che pure mi riguardano. Verrei meno a uno dei pochi punti fermi che sono ben stampati nella mia coscienza di cittadino: la democrazia vive di partecipazione. La libertà è partecipazione.

E continuo volentieri a votare in un seggio con le barriere architettoniche, perché “gutta cavat lapidem”, e sono certo che, prima o poi, quella scuola sarà senza barriere, come dovrebbe essere da tempo. Ma se rinuncio, se scelgo volontariamente di andare in un seggio “accessibile”, vengo meno a un altro principio per me fondamentale: essere come gli altri, fare le cose che fanno tutti, perché l’inclusione sociale si ottiene solo scegliendo i percorsi comuni, non le scorciatoie dei luoghi “protetti”.

Andrò a votare contento perché so che come me, questa volta, la pensano in tanti, finalmente. E penso proprio che il quorum si possa e si debba raggiungere, non per sterile contrapposizione politica, ma perché c’è bisogno di ridare vita all’istituto dei referendum, che è stato maltrattato, offeso, reso quasi inutile, da una serie di consultazioni approssimative, ridondanti, troppo settoriali per conquistare il cuore e la mente dei cittadini. Io credo che da questo voto possa ripartire una nuova coscienza civile, che ci permetta anche di pensare meglio ai referendum, alle modalità di consultazione popolare, senza snaturare il principio, anzi rendendolo efficace e solido.

Ma intanto, con il sorriso sulle labbra, andrò a votare. Con gioia.

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