Sostenibilità

Perché abbiamo detto sì alla catena

Il presidente di Ctm, Giorgio Dal Fiume spiega l'accordo con Esselunga e svela: "Abbiamo deciso noi persino i contenuti della pubblicità"

di Francesco Agresti

Dal commercio equo al microcredito passando per la grande distribuzione. All’annuale assemblea di giugno, infatti, i 121 soci di Ctm, di cui 115 botteghe, saranno chiamati a decidere se diversificare l’attività dando vita a una società finanziaria per poter erogare prestiti di modesta entità. Intanto, da pochissimo è diventato operativo l’accordo con Esselunga, società che opera nella grande distribuzione, per portare nei supermercati, accanto ai prodotti del commercio equo con il marchio Ctm, prodotti preparati con materie del commercio equo ma commercializzati con il marchio Esselunga. «Per ora l’esperimento interessa solo due prodotti», spiega Giorgio Dal Fiume, presidente di Ctm, «ma nulla esclude che l’intesa possa essere estesa ad altri». Vita: Come mai avete deciso di intensificare i rapporti con la grande distribuzione arrivando a fornire materie prime da commercializzare con un marchio diverso dal vostro? Giorgio Dal Fiume: Quelli con Esselunga sono rapporti commerciali avviati già da tempo cui negli ultimi mesi si sono aggiunte delle novità. Nel settembre scorso, la dirigenza della società ci ha comunicato la volontà di fare prodotti con il proprio marchio utilizzando materie prime del commercio equo e solidale, chiedendoci una consulenza. Noi abbiamo presentato le due possibilità: o utilizzare il marchio TransFair o instaurare un rapporto con i produttori tramite la materia prima fornita da Ctm, non senza l’impegno a rispettare precisi vincoli. Vita: Quali sono questi vincoli? <>: Il nostro non è un semplice accordo commerciale. Nei rapporti con la grande distribuzione poniamo dei vincoli inderogabili e tutto quello che c’è scritto nella pubblicità e nella confezione è concordato con noi. Abbiamo dato la disponibilità a fornire le materie prime a patto che siano rispettate alcune condizioni tra cui quella di non scrivere sulla confezione “commercio equo e solidale” ma solo “prodotti con materia prima proveniente da commercio equo e solidale”. Lo scorso ottobre, Esselunga ha accettato le nostre condizioni e così ora abbiamo avviato una fase sperimentale partendo con tre prodotti: té e caffè, già in commercio, e lo zucchero, a partire da giugno. Vita: Avete fatto delle stime sui risultati commerciali di questa intesa? Dal Fiume: Sì certo, ma preferisco non renderli pubblici. La valutazione dell’accordo, infatti, dovrà tener conto non solo degli incrementi delle vendite di materie prime a Esselunga, ma anche delle eventuali ripercussioni sui nostri prodotti. Non possiamo impedire a priori che vengano a crearsi delle fasce di sovrapposizione, ma se le vendite del prodotto Esselunga cresceranno a discapito dei nostri prodotti, dovremmo apportare delle modifiche all’accordo. Stiamo monitorando attentamente tutto: entro un anno faremo una verifica. Siamo comunque convinti che sia un’operazione che potrà produrre effetti positivi. Vita: Qualche Bottega del mondo rumoreggia, non sembra convinta… Dal Fiume: Abbiamo presentato l’accordo ai primi di marzo in un convegno a Bologna, e nessuno si è scandalizzato. È evidente che su un’ipotesi del genere c’è una sensibilità diffusa di molti e, per il fatto stesso della grande distribuzione, la contrarietà aperta di alcuni. Per la verità, il dissenso forte sembra piuttosto minoritario, ma ne stiamo tenendo conto. È anche vero, però, che molte botteghe si sono dimostrate entusiaste per il fatto che la grande distribuzione abbia deciso di fare questo passo con noi, decidendo con il consorzio il contenuto della comunicazione pubblicitaria. Vita: Quali sono i rapporti con TransFair dopo la separazione consensuale? Dal Fiume: In realtà non è stata una vera e propria separazione consensuale: noi abbiamo rinunciato al marchio, una scelta non accettata di buon grado da parte loro. Detto ciò, la diversa visione su alcuni aspetti che riteniamo fondamentali, non pregiudica la possibilità di un dialogo aperto permanente: noi, anche se non utilizziamo il loro marchio, siamo sempre soci di TransFair. Vita: Quali le ragioni di questa scelta? Dal Fiume: Non eravamo soddisfatti della metodologia di certificazione e del ruolo di TransFair. Non è un problema di TransFair Italia, ma dell’intera organizzazione internazionale. La metodologia che utilizzano render certificabili solo sette famiglie di prodotti, mentre Ctm ne commercializza 3mila. Se identifichiamo il commercio equo con il marchio, avremmo solo alcuni prodotti marchiabili, e questo per noi è un problema. Vita: Che soluzione avete adottato? Dal Fiume:Riteniamo che la marchiatura del prodotto non sia adeguata alla complessità del commercio equo. La marchiatura dovrebbe essere fatta alle organizzazioni: se noi certifichiamo la Bottega del mondo, tutto quello che c’è dentro è commercio equo e in questo modo possiamo salvare il protagonismo delle organizzazioni, salvaguardare la certificazione come garanzia per i produttori e i consumatori, e distinguere chi fa commercio equo da chi vende i prodotti di commercio equo. Se invece identifichiamo il commercio equo con i prodotti, chiunque vende questi ultimi può, in buona o in mala fede, spacciarsi per un’organizzazione coinvolta nel commercio equo.


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