Parte con questo numero di E&F una nuova rubrica, a firma di Luigino Bruni, docente di Economia politica alla Bicocca di Milano, il maggior teorico dell?esperienza dell?Economia di comunione. Un appuntamento mensile per costruire, voce per voce, il vocabolario di una nuova visione dell?economia.
Sono stato da poco in Giappone per un convegno sul welfare, dal quale è emerso con chiarezza che oggi, diversamente dagli anni 90 quando si parlava della ?fine del welfare state?, c?è nella gente una nuova e forte nostalgia dello Stato sociale (anche l?attuale dibattito sul ?reddito di cittadinanza? ne è un segno). Un movimento profondo delle società attuali, forse quello più radicale, è l?estensione veloce e generale dell?aria di azione del mercato. I mercati si sostituiscono sempre più alla famiglia e alla comunità civile nell?offerta dei sistemi di welfare.Quanto, in tema di cura e di assistenza, nella società tradizionale svolgevano la famiglia e le relazioni comunitarie (con un forte sbilanciamento sul lato delle donne, e anche per questo quel sistema di cura non poteva e doveva reggere), oggi è sempre più offerto dal mercato, che trasforma i rapporti di cura in contratti.
L?Europa ha tentato nel secolo XX una via mista, quella dello Stato sociale, dove il posto della famiglia e della comunità l?ha preso in buona parte lo Stato, che ha offerto tanti servizi di welfare, dalle pensioni alla salute, alla scuola. Qualche decennio fa, anche per una particolare temperie ideologica pro mercato, si pensò che questo modello europeo, diverso da quello americano (ma anche da quello giapponese), fosse ormai entrato nell?età del tramonto, anche, e soprattutto, per una insostenibilità sul lato dei costi, e anche su quello della sussidiarietà, e che bisognasse dunque cambiare, e presto. L?ipotesi ideologica forte, che sottostava a tale cambiamento, era la fiducia che i mercati avrebbero potuto ben sostituire sia lo Stato sociale sia la famiglia-comunità.Oggi ci stiamo accorgendo che il mercato è una splendida invenzione, che però funziona bene per cose tutto sommato semplici; ma appena ci inoltriamo nella relazioni umane più complesse, il mercato non è un buon sostituito né della comunità, né del ?vecchio? Stato sociale. Perché neanche dello Stato sociale? Sono convinto che un sistema di Stato sociale funziona se, e fino a quando, un Paese non è solo un insieme di individui tenuti assieme dalla forza dei soli interessi (come sta diventando l?Italia, e come invece non sono ancora né il Giappone né la Norvegia). Lo Stato sociale ha bisogno di un popolo, di una comunità. Il sistema pensionistico, ad esempio, non potrà mai funzionare sulla base della sola logica del contratto, perché la sua natura è più vicina ad uno scambio solidale di doni tra generazione che ad un nudo contratto, poiché questo ?contratto? opera in un arco temporale troppo lungo ed incerto per essere completo ed efficace. Senza parlare della tutela dell?ambiente o dei territori, che non funziona sulla logica del contratto («Perché dovrei fare qualcosa per le future generazioni: che cosa hanno fatto loro per me?», in tanti risponderebbero, sulla base della logica dello scambio di mercato). Quindi lo Stato sociale incorpora ed esprime un legame di appartenenza, un sentirsi parte di un destino comune, che ti porta a vedere la maestra come un?alleata nel difficile compito di educare le nuove generazioni (e non solo come una partner in un contratto).Il vecchio stato sociale, quindi, rispondeva a quel bisogno di sicurezza, un bisogno davvero radicale nelle persone senza comunità, un bisogno a cui il contratto non risponde bene, perché siamo consapevoli che vivremo dei momenti della vita (vecchiaia, malattia), dove non saremo in grado di contrattare, e potremmo restar fuori dal gioco degli interessi reciproci. Ed ecco, allora, la nostalgia e il nuovo bisogno di welfare, che oggi non può più essere solo ?comunità? o solo ?Stato? (come nel modello europeo precedente), ma neanche ?solo? mercato e contratti. Come sa bene chi ha dovuto cercare una ?badante? (non potremmo cercare una parola più rispettosa?) a cui affidare la propria madre malata di Alzheimer, con quel contratto di lavoro si vorrebbe comprare un ?di più? che nessun contratto può assicurare; si vorrebbe che quegli atti svolti nei confronti della persona assistita siano non solo formalmente corretti, ma avessero anche quel qualcosa di veramente umano che nessuna clausola del contratto di lavoro può imporre. Ma questo ?di più? è sempre esperienza di gratuità (solo la gratuità rende l?umano capace di trascendersi), e per la gratuità non c?è mercato.La vera sfida del nuovo welfare sarà quella di riuscire ad inventare dei nuovi patti di cura, dove quel ?di più?, non contrattabile, ci sia o ci possa almeno essere, senza che sia scacciato via dalla mutua diffidenza che spesso si nasconde dietro contratti molto dettagliati. Perché nei rapporti umani al di qua del ?di più? non c?è semplicemente il ?di meno?, ma c?è il vuoto e l?infelicità che rendono la vita alla lunga insostenibile.
Luigino Bruni
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