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Percentuale addio, sei poco etica

L’adozione del nuovo codice dell'associazione dei fundraiser, cambia le regole (di Maddalena Bonicelli).

di Redazione

Etica e raccolta fondi. Un binomio scontato? Trattandosi di buone cause da sostenere, sembrerebbe naturale. A giudicare dai numeri (oltre tre miliardi di euro di risorse raccolte dai privati) i donatori italiani fortunatamente continuano a essere convinti che sia così. Ma allora che bisogno c?era di proporre un Codice etico della raccolta fondi? L?Associazione italiana fundraiser, che lo ha elaborato, risponde che è stato un lavoro necessario e anche meno semplice del previsto. La questione si spiega in una parola: percentuale. È corretto che una percentuale della donazione venga utilizzata per retribuire il fundraiser che ha pensato e realizzato la campagna di raccolta fondi? Il fatto che un?organizzazione non profit non possa permettersi il compenso di un professionista rende questa strada giustificabile? Se un donatore ha il diritto di agire sulla fiducia, ha anche quello di essere informato in merito. Così la questione della percentuale è stata inevitabilmente anche l?aspetto più dibattuto nella presentazione del Codice etico avvenuta a Civitas: il Codice sancisce che la percentuale non sarebbe etica perché inficia il rapporto con il donatore. Il quale la vede come una quota distolta dalla vera destinazione. Una tesi sostenuta dai professionisti più esperti, come Alberto Masacci, presidente di Assif, e da Francesca Zagni, fundraiser e coordinatrice del lavoro per l?elaborazione del Codice etico. In realtà in Italia la questione non è così netta: esistono operatori che si propongono al non profit come veri e propri agenti di sponsoring, così come organizzazioni che chiedono di applicare la percentuale considerando il fundraising come un costo aggiuntivo, preferendo non esporsi ad alcun rischio iniziale. Ma ora, con l?adozione di questo Codice da parte di un?associazione che raduna la quasi totalità dei grandi fundraiser italiani, che cosa cambierà? Che alternative verranno offerte nel caso di una scarsa disponibilità di fondi, o quando la poca esperienza lascia troppi margini di incertezza sui risultati di una campagna? Gli esperti rispondono spiegando che anche una piccola organizzazione, che non disponga inizialmente delle risorse necessarie, può mettere in atto un fundraising professionale: esistono politiche di compenso che consentono di distribuire nel tempo un importo che sia stato preventivamente determinato. Esistono inoltre meccanismi di incentivazione dei risultati che non necessariamente coincidono con la percentuale, ma con la definizione preventiva di premi legati al raggiungimento di determinati obiettivi, come prevede il Codice dell?Association of fundraising professional, la più importante associazione dei fundraiser Usa. In ogni caso, è necessaria la consapevolezza che il fundraising non si improvvisa. Il donatore deve poter leggere gli strumenti di rendicontazione quali il bilancio sociale e di missione. Deve conoscere l?investimento del fundraising rispetto ai fondi raccolti, sapendo che il rapporto non dovrebbe superare il 20%. Come già mostrano i bilanci di grandi organizzazioni, da Telethon all?Unicef. Come hanno ribadito a Padova Edoardo Patriarca, portavoce del Forum del Terzo settore, e Ilaria Borletti, presidente del Summit della Solidarietà, la crescita del Terzo settore e quella del fundraising vanno di pari passo, non solo dal punto di vista dell?efficacia e dell?efficienza, ma anche della capacità di darsi delle regole.

Maddalena Bonicelli


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