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Immigrazione & istruzione

La scuola interculturale è una ricchezza? Sì, ma esige strumenti e risorse

Più insegnanti di italiano L2, per supportare gli alunni stranieri: dopo l'annuncio del ministro Valditara, prosegue il viaggio di VITA nelle scuole alle prese con la sfida della reale inclusione e valorizzazione dei ragazzi con background migratorio. Milena Santerini, pedagogista interculturale: «È un provvedimento che va nella direzione giusta. Servono risorse, economiche e formative, altrimenti dire che l'immigrazione è una ricchezza agli insegnanti sembra una presa in giro»

di Ilaria Dioguardi

Valditara ha annunciato che dal 2025 ci sarà un insegnante specializzato nell’insegnamento dell’italiano come L2 nelle classi con oltre il 20% di alunni stranieri. «Alla scuola finora non abbiamo dato sufficienti strumenti e risorse per favorire l’integrazione attraverso l’inserimento della lingua italiana», dice Milena Santerini, docente di Pedagogia interculturale alla Cattolica.

Santerini, cosa pensa dell’annuncio del ministro Valditara?

Il potenziamento dell’insegnamento dell’italiano per gli alunni di cittadinanza non italiana è utile e necessario. Noto che siamo tornati indietro con l’utilizzo del termine “stranieri”, che è molto generico. Abbiamo il 60% di alunni nati e cresciuti in Italia, che ovviamente sono molto diversi dai neoarrivati. È molto importante distinguere tra i neoarrivati e gli altri. Che l’italiano sia alla base di un’integrazione reale, di una comprensione più profonda dei contenuti scolastici è, evidentemente, molto importante: il punto è che non eravamo all’anno zero, però.

È un provvedimento che va nella direzione giusta, opposta a quella delle classi separate. Speriamo che sia questa la direzione che verrà effettivamente presa.

Cosa vuole dire?

I docenti specializzati ci sono, c’è una specifica classe di concorso. La novità di questa misura sarebbe quella di garantire la presenza di insegnanti ad hoc nelle classi con un certo numero di studenti con cittadinanza non italiana, mentre prima questo era lasciato all’intervento della scuola. È un fatto positivo, significa dare più risorse. Sono sempre stata dell’idea che il problema non fosse che gli alunni di famiglie immigrate non si integrano o che sono un problema per la classe. La questione va vista esattamente al contrario.

Milena Santerini

Come va vista?

Non abbiamo dato sufficienti strumenti e risorse alla scuola per favorire l’integrazione attraverso l’inserimento della lingua italiana, e non solo. Poi c’è il tema del dove, in quali classi. Se ho capito bene, questi insegnanti verranno inseriti nella scuola secondaria, di primo e secondo grado. Questo dimostrerebbe che c’è un’evoluzione demografica nel nostro Paese per cui i bambini di origine immigrata, che erano presenti nella scuola dell’infanzia e nella primaria, ora sono cresciuti e sono nella scuola secondaria. Un potenziamento per loro e anche per i neoarrivati ritengo sia molto importante. Questo favorirebbe anche il fatto di non spostarli in classi che non corrispondono alla loro età anagrafica, come spesso purtroppo succede. Questo è un provvedimento che va nella direzione giusta, opposta a quella delle classi separate. Speriamo che sia questa la direzione che verrà veramente presa.

Bisognerebbe creare una maggiore alleanza con le università. Questi insegnanti vanno formati, non solo dal punto di vista tecnico, ma sul piano culturale: insegnare una lingua è sempre insegnare una cultura

Infatti, meno di tre mesi fa, il ministro Valditara aveva proposto di creare classi separate per bambini di origine straniera. Qual è stato il suo pensiero?

L’idea di classi separate, di trattamenti speciali per gli alunni di cittadinanza non italiana non sarebbe neanche un ritorno al passato: l’Italia ha una storia di integrazione molto importante. Penso a tutto il lavoro fatto sulla disabilità, che è stato ed è all’avanguardia a livello europeo. Anche per quanto riguarda gli immigrati, la scuola ha fatto fronte a quella che fu all’epoca (negli anni Novanta) un’emergenza. Poi non è più stata un’emergenza. E non lo è nemmeno oggi: si continua a parlare di emergenza immigrati, quando invece è un fenomeno strutturale. La scuola italiana è sempre stata all’avanguardia da questo punto di vista. Con le classi separate si rinnegherebbero quei principi di inclusione, integrazione e coesione sociale sui quali la scuola italiana è sempre stata un modello anche in Europa. Tutto quello che va nella direzione di potenziare, dare più strumenti e risorse alle scuole, aiutare l’integrazione ben venga. Tutto quello che va nella direzione di trattamenti speciali o particolari, dividendo in qualche modo gli alunni, non lavorando per una “didattica differenziata” non mi vedrebbe assolutamente d’accordo.

Ci spieghi meglio.

Tutte le classi di tutte le scuole sono composte da ragazzi diversi. Noi vediamo solo la diversità della disabilità o della cittadinanza, ma non è vero: maschi e femmine, bambini più maturi e bambini meno maturi, classi sociali. La scuola è di per sé un luogo di diversità e di pluralismo. La “didattica differenziata” vuol dire che devo fare di questo elemento di diversità non un’occasione per creare dei livelli di competenza o di cittadinanza ma al contrario: devo mettere insieme queste diversità e specificità per farle diventare ricchezza. Anche dal punto di vista didattico. Perché se non accompagniamo l’integrazione interculturale con delle risorse, dire “l’immigrazione è una ricchezza” può sembrare agli insegnanti come una presa in giro, un modo per dire loro di gestirsela da soli.


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Lei ha fatto molta ricerca accademica sull’intercultura a scuola: un messaggio che ne emerge, in sintesi, qual è?

Sì, ho fatto ricerche in particolare a Milano, su scuole con alti tassi di alunni di origine immigrata. Abbiamo valutato la qualità delle scuole interculturali, abbiamo concluso che hanno una qualità invidiabile rispetto alle altre. Quindi non è vero che la presenza di questi alunni in qualche modo penalizza. Certo non dobbiamo nascondere alcuni aspetti non positivi.

Abbiamo fatto molte ricerche e valutato la qualità delle scuole interculturali. Abbiamo concluso che hanno una qualità invidiabile rispetto alle altre. Quindi non è vero che la presenza di questi alunni penalizza

Quali, ad esempio?

La maggiore dispersione scolastica dei ragazzi immigrati, il fatto che spesso arrivano con storie difficili alle spalle, con famiglie che spesso non possono seguirli, con sistemi scolastici da cui provengono che sono meno di qualità rispetto a quello italiano. Questo va detto. I ragazzi immigrati hanno tassi di bocciature e di dispersioni più alti dei coetanei italiani. Non stiamo dicendo che va tutto bene, ma che la scuola può mantenere un’alta qualità solo con delle risorse. Uno dei fattori che guardavo con più interesse, nelle ricerche, è quello dell’organizzazione dell’insegnamento dell’italiano, che si è sempre svolto nelle scuole di Milano con dei laboratori. Abbiamo valutato una maggiore qualità a quei laboratori e a quegli insegnanti di italiano che non si svolgono indipendentemente dalla classe, separatamente. Più il laboratorio è integrato, più l’insegnante è integrato nella classe, maggiore è la qualità della didattica della scuola. Che, ripeto, è tranquillamente possibile anche in presenza di un alto numero di immigrati.

Secondo lei, per continuare a seguire questa direzione nell’integrazione scolastica, cos’altro si potrebbe fare?

Bisognerebbe creare una maggiore alleanza con le università. Questi insegnanti vanno formati, non solo dal punto di vista tecnico, ma sul piano culturale: insegnare una lingua è sempre insegnare una cultura. Accogliere un ragazzo di lingua straniera vuol dire accoglierlo per intero, con la sua cultura e la sua specificità. Prenderei a modello le esperienze virtuose di questo tipo, che sono tante, e le metterei a sistema. Non è che tutti i ragazzi sono abbandonati a loro stessi, senza l’insegnamento della lingua italiana. È sempre stata insegnata, dobbiamo imparare dagli esempi virtuosi già presenti. Le buone pratiche sono più diffuse di quello che pensiamo…

Foto di National Cancer Institute su Unsplash.
La foto di Milena Santerini è tratta dal video della conferenza “L’etica ai tempi dell’odio” all’interno della rassegna Gariwo NetWeek 2022


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