Mondo

Per una società della cura, fuori dalla logica dei profitti

La necessità di affrontare la crisi ha ridefinito le agende governative e intergovernative del mondo intero, mettendo in piedi un intervento pubblico che non si vedeva da tempo: è ora necessario che i decisori si orientino verso politiche inclusive. Dal lavoro di decine di associazioni è nato manifesto e prenderà corpo una mobilitazione prevista per il 21 novembre in nome dell'uguaglianza e della cura

di Alberto Zoratti

l lockdown, al di là delle questioni strettamente sanitarie, ha rappresentato l’apertura di una faglia dove le contraddizioni e le criticità del paradigma economico e sociale dominante, nelle sue diverse forme, si sono riversate come uno tsunami nella vita quotidiana di ognuno di noi. In quel momento la crisi strutturale che modifica il clima, crea disoccupazione e precariato, ridefinisce i diritti sostanziali delle persone sulla base delle appartenenze di genere o geografiche, entrava prepotentemente nelle nostre case, limitando le libertà, aumentando la percezione di vulnerabilità fisica, ma anche e soprattutto psicologica. Era il momento dell’ “andrà tutto bene” e della speranza in una svolta epocale nelle relazioni sociali, alla fine del tunnel.

La riapertura ha mostrato che senza una ridefinizione dei rapporti di forza, senza un ribaltamento degli equilibri sociali ed economici attuali, il mondo sarebbe ripartito esattamente come prima, o forse più diseguale, insostenibile e inquinante.

La necessità di affrontare la crisi ha ridefinito le agende governative e intergovernative del mondo intero, mettendo in piedi un intervento pubblico che non si vedeva da tempo immemore. I vari limiti e compatibilità europee, a cominciare dalla sospensione dei parametri di Maastricht sono stati sospesi perché il dogma del debito non è più tale, almeno per il momento, e questo permette di far aprire borse e portafogli al Governo di turno per finanziare la ripresa. Ma tutto questo non ha invertito la tendenza generale. E l’impatto asimmetrico della pandemia ha dimostrato come le fratture sociali siano tutte aumentate, e come la crisi dei servizi sociali, educativi e sanitari sia la dimostrazione plastica delle logiche di mercato applicate alla gestione pubblica della collettività.

Ma è dalle quattro mura troppo strette del lockdown che nasce l’esigenza di rompere l’accerchiamento, soprattutto politico e ideologico, in cui siamo immersi da anni: le diverse forze della società civile e dei movimenti sociali italiani hanno cominciato un graduale percorso di convergenza per riportare al centro una società della cura, a posto delle logiche di mercato e di profitto che hanno alimentato e aggravato l’impatto del coronavirus.

Oltre 700 tra adesioni collettive e individuali (la lista integrale, in continuo aggiornamento è qui) sostengono un manifesto di visione che mette al centro la transizione ecologica e sociale, le questioni di genere, il lavoro precario e sotto attacco, una sanità e un’educazione all’altezza. Ma soprattutto la necessità di riaprire un conflitto con un’economia basata sui profitti che sta dimostrando, sempre di più, il suo lato insostenibile, a cominciare da equilibri naturali e climatici sempre più in bilico.

A quel manifesto sono seguite assemblee e la conseguente elaborazione di piattaforme tematiche in vista della mobilitazione programmata per il 21 novembre, primo vero momento collettivo per un movimento che cresce. Questo percorso ha visto tra le sue tappe preparatorie l’assemblea di Villa Pamphilji a Roma, organizzata in contemporanea con gli Stati Generali del Governo Conte, dove Confindustria tentò, come tenta tuttora, di dettare la linea di un’agenda complessa, che dovrebbe parlare prima di tutto di diritti dei più vulnerabili. Era il periodo del Piano Colao, delle discussioni sul MES e del negoziato intraeuropeo per far fronte alla crisi.

Le risorse che arriveranno dall’Europa avranno un valore non solo sostanziale, ma anche simbolico: potrebbero e dovrebbero determinare un’inversione di tendenza. Un intervento pubblico orientato alla giustizia sociale e alla transizione ecologica ha bisogno di una strategia chiara e complessiva, che manda tragicamente in queste settimane di preparazione della lista della spesa da mandare in Europa.

È da qui che partono i movimenti italiani: radicalità, visione, diritti. Senza passare da un ribellismo sterile, ma mettendo assieme tutti i saperi e le esperienze di questi decenni, che hanno saputo lavorare nei territori creando valore sociale, solidarietà, cooperazione: dalle reti dell’economia solidale alle esperienze di spesa sospesa durante il lockdown, per arrivare ai comitati di tutela del territorio o contro le grandi infrastrutture.

Esperienze che hanno alimentato e tutelato la tenuta di un tessuto connettivo di relazioni e di narrazioni concrete, ma che oggi, davanti a una crisi storica, non basta più. Scendere in campo, riprendere parola con radicalità, sono diventati un imperativo categorico che non si può più ignorare.

Per maggiori informazioni: ►qui– per aderire, scrivete a: societadellacura@gmail.com

*Fairwatch

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