Cultura
Per una Pasqua scomoda
Questa Pasqua ci inquieta perché come costruttori di pace sappiamo che non stiamo facendo abbastanza, che dovremmo metterci in marcia e che non ci sarà una vera resistenza nell’al di qua, se non partecipiamo alla sofferenza di Dio nella mondanità, come esortava Bonhoeffer.
Mai come quest’anno la Pasqua è scomoda. Come scriveva don Tonino Bello (nella foto a Sarajevo) a proposito del Natale: «Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario. Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati».
Quest’anno la Resurrezione può apparire solo memoria e non attualità, perché mentre ricordiamo che il Dio della Croce muore ingiustamente domenica, sappiamo che lunedì non si sarà fermato il Dio degli eserciti, sappiamo che l’ipocrisia della accoglienza selettiva spinge più forte di prima, con un’Europa che apre le braccia ai fratelli e le sorelle ucraine e si accorda per respingere i siriani, i Kurdi, gli Afghani e gli africani alla frontiera greca.
Questa Pasqua deve essere scomoda per l’Italia, accomodata nella strategia del “respingo ma non troppo”, con un Ministero dell’Interno che agisce senza alcuna vera visione sull’immigrazione se non la “prudenza”, ed ancora non toglie i freni e la vigenza a quegli obbrobri dei Decreti Conte-Salvini. Un’Italia che mette limiti numerici all’accoglienza diffusa nei piccoli comuni, max 10 ogni 1000 abitanti mi raccomando!, e non comprende che siamo così tanto vecchi che di prudenza siamo già morti.
Questa Pasqua è scomoda per la comunità ucraina che vive in Europa e per l’Europa che si sente vicina alla comunità Ucraina, perché la croce chiede paradossalmente impegno ai più deboli a diventare il primo ponte della pace, quel legno della crocifissione apre all’ azione perché insegna cosa sia un amore rivoluzionario che trasforma lo sguardo del violento e del violato, che non vince ma convince, che non urla ma lotta in modo nonviolento contro le violenze del mondo.
In quel legno c’è la “forza della verità”, c’è anche il “satyagraha” ghandiano che posizionandosi di fronte al mondo con la forza della sofferenza muta e combattiva ne pretende il cambiamento.
In questa Pasqua ci sono gli sposi che imbracciano il fucile ed il padre di famiglia, Gregori, che le cronache raccontano non voglia insegnare ai suoi figli come si uccide un uomo, ci sono i cantori di Odessa ed i civili che provano a fermare i carri armati con le mani, ci sono le mamme dei soldati russi e l’anziana signora, Yelena Osipova, che scrive cartelli teneri per sfidare la polizia russa: “Soldato posa il tuo fucile e sarai un eroe”.
Questa Pasqua ci inquieta perché come costruttori di pace sappiamo che non stiamo facendo abbastanza, che dovremmo metterci in marcia e che non ci sarà una vera resistenza nell’al di qua, se non partecipiamo alla sofferenza di Dio nella mondanità, come esortava Bonhoeffer.
Questa Pasqua ci spinga a metterci in cammino, per andare incontro alla sofferenza, non con il delirio di risolverla, ma per stare accanto, il più accanto possibile, ai crocifissi di questo mondo.
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