U na regione aperta e accogliente. Una regione dove c’è spazio per tutti, dove ci si impegna a trovare risposte ai problemi e alle difficoltà di ognuno. Una regione, insomma, dove non ci si sente mai soli. Questa è l’Emilia-Romagna, che in questi anni ha vissuto, come d’altronde il resto d’Italia, una serie di profonde trasformazioni, demografiche e sociali: l’innalzamento dell’età della popolazione, l’arrivo di tante persone da altri Paesi, lo “snellimento” delle famiglie e l’impoverimento delle reti parentali. Una rivoluzione importante, che ci ha imposto di ripensare il nostro sistema di welfare, con l’approvazione, lo scorso maggio, del primo Piano sociale e sanitario. Uno strumento con cui abbiamo rilanciato l’approccio integrato delle “questioni” sociali e sanitarie. Ora dobbiamo proseguire il percorso, rafforzare l’integrazione tra tutti i settori – non solo sociale e sanità, ma anche scuola, casa, lavoro, formazione – e consolidare gli strumenti a disposizione del territorio.
Al centro della nostra azione politica c’è la famiglia: una risorsa fondamentale, che entra a pieno titolo nel processo di cura e, in un’alleanza “terapeutica” con gli operatori, costruisce il percorso assistenziale nel caso in cui ci sia un componente del nucleo – un anziano, una persona non completamente autonoma – in difficoltà. Qualora si faccia carico dell’assistenza, la famiglia riceverà risorse previste dal Fondo regionale per la non autosufficienza: l’Emilia-Romagna, prima Regione in Italia, ha istituito nel 2007 questo strumento, destinato a sostenere gli anziani, i disabili e le rispettive famiglie. Famiglie, infine, che sono destinatarie di una pluralità di interventi: mi riferisco ai servizi per la prima infanzia – nidi soprattutto -, al sostegno per conciliare tempi di lavoro e di cura.
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