Non profit

Per un nuovo Servizio Civile servono risorse, personale dedicato e strutture

Il Presidente del Forum Nazionale Servizio Civile, Enrico Maria Borrelli, interviene nel dibattito del ruolo dei giovani volontari anche nella gestione delle emergenze del nostro Paese

di Enrico Maria Borrelli

Dalle pagine del quotidiano Avvenire è partito in questi ultimi giorni un interessante dibattito sul servizio civile e su quale ruolo possa rivestire, oggi e in futuro, nella gestione delle emergenze del nostro Paese.

Ad aprire il confronto è stato un nutrito gruppo di accademici ed intellettuali che, con una lettera indirizzata al premier Conte e al Ministro Spadafora, hanno evidenziato la necessità di avere più “competenze” al servizio del bene pubblico e l’opportunità, a tal proposito, di ripensare e rilanciare l’attuale Servizio Civile Universale. Viene infatti riconosciuto nel servizio civile l’occasione per il Paese di accrescere il senso civico, la responsabilità sociale, la cittadinanza attiva e, non meno importante, di arricchire la formazione al lavoro delle nuove generazioni.

La risposta del Ministro Spadafora è stata tempestiva ed incoraggiante. Dopo aver apprezzato lo spirito propositivo della riflessione e descritto quanto oggi il servizio civile stia facendo per l’emergenza Covid-19, ha proposto di trasformare il Servizio Civile, in un prossimo e auspicabile futuro, in una politica strutturale del Paese, attraverso una programmazione economica pluriennale di 270 milioni e un contingente annuo di almeno 50.000 volontari.

Sulle pagine dello stesso giornale l’on. Chiara Gribaudo, vice presidente del gruppo PD alla Camera, ha parlato invece di un servizio civile “straordinario” e di modalità universali di ingaggio dei volontari, proponendo di coinvolgere anche i percettori di reddito di cittadinanza per costruire e coordinare un impegno collettivo finalizzato ad “accudire l’Italia” in questa fase così delicata. Non è mancato il richiamo ad un servizio civile obbligatorio, proposto dal direttore dell’Avvenire Marco Tarquinio, su cui varrà la pena tornare a discutere in maniera più seria e più politica, scevri da propagande.

A dare ancora maggior peso al dibattito è stato l’intervento del Presidente Conte, che ha intravisto nel servizio civile l’opportunità di una nuova “simbiosi generazionale”, di un mutualismo civico e di un vincolo solidale su cui, sottolinea, la nostra Repubblica ha sempre potuto contare.

Appare evidente che l’idea di un coinvolgimento ampio e strutturato dei cittadini nella cura del Paese sia un tema di straordinaria portata politica e il Servizio Civile, più di qualsiasi altra struttura dello Stato e sicuramente più di un volontariato spontaneo, può essere lo strumento adatto.

Lo è perché dispone di 100.000 giovani che ogni anno chiedono di fare qualcosa di “utile” per il Paese, impegnandosi a favore dei più deboli, della promozione della cultura e dell’arte, della tutela dell’ambiente, della promozione dello sport, dell’educazione alla pace e alla diversità.

Lo è per la struttura organizzativa sulla quale si fonda: un sistema di enti accreditati in possesso di competenze, capacità organizzative e risorse umane (troppo spesso volontarie), una solida ossatura progettuale e una diffusione capillare sull’intero territorio nazionale che gli consente di intercettare e ingaggiare decine di migliaia di giovani ogni anno al servizio della comunità.

Tuttavia, il principale limite di questo istituto è che non dispone di fondi stabili e, meno ancora, di strutture e personale specificamente dedicati, la cui disponibilità è assicurata con le sole risorse degli enti.

Dobbiamo ragionevolmente ammettere che non basterà investire su un numero maggiore di giovani per rilanciare il servizio civile, servono risorse per incanalare le loro energie e trasformarle in competenze e attività sociali. Occorre per questo ripensare la sussidiarietà nel servizio civile con un nuovo patto tra enti e Stato, perché ne possano trarre vantaggio i giovani e beneficio il Paese. La strada individuata dal Ministro Spadafora è quella giusta: elevare il Servizio Civile a politica strutturale del Paese.

Altro aspetto centrale sarà quello della governance. In vista di un servizio civile numericamente più consistente sarà opportuno, al pari della Protezione Civile, l’istituzione di un Dipartimento per il Servizio Civile Universale, con una maggiore dotazione di personale e magari più autonomia. Prevedere inoltre progetti di durata pluriennale che assicurino la continuità dei servizi ai cittadini offrirebbe, all’intero sistema, quell’orizzonte temporale necessario a stimolare gli investimenti in strutture e risorse dedicate. Risorse aggiuntive che possono essere reperite, oltre che dal bilancio dello Stato, attingendo alle riserve delle fondazioni bancarie, come avviene per i Centri Servizi per il Volontariato, o prevedendo l’istituzione di un 5 per mille dedicato al servizio civile. Un collegamento organico con i percorsi di istruzione e formazione e con il mondo del lavoro, aiuterà inoltre i giovani a capitalizzare l’esperienza e le competenze acquisite sia nel corso degli studi che nella ricerca di un futuro lavoro.

In ultimo, e non per importanza, va ripensata la comunicazione istituzionale. Sebbene sia presente in Italia dal 1972, il servizio civile non è ancora entrato nella cultura degli italiani e delle istituzioni. Non soltanto i cittadini e, tra loro, moltissimi giovani sono ancora scarsamente informati, ma dai piccoli comuni fino ai Ministeri la conoscenza del servizio civile è sommaria. Lo stesso mondo dell’informazione ne parla poco e con scarsa cognizione. Manca al servizio civile, dunque, l’essere riconosciuto come un corpo dello Stato e abbiamo bisogno anche di questo, di identità e di appartenenza per rinsaldare i legami nella nostra comunità.


*Enrico Maria Borrelli, presidente Forum Nazionale Servizio Civile

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