Volontariato

Per un mondo più ambrosiano

È uno dei protagonisti della vita economica e sociale italiana. È passato per decine di consigli di amministrazione. Intervista a Marco Vitale.

di Riccardo Bonacina

Sessantanove anni, una vita tra Brescia e Milano, Marco Vitale ha la freschezza intellettuale e fisica di un giovanotto che abbia ancora un grande avvenire davanti a sé. Sarà, per quella sua concretezza che privilegia, come lui ama dire, «il passo dell?alpino» (e in effetti ha scalato le montagne dell?Alaska -Mckinley-, della Bolivia -Ancohuma – Illampu-, della Cina -Minya Konga-, del Karakorum -Broad Peak- e delle Ande Argentine -Fitz Roy e Cerro Torre- e ha percorso gran parte dell?Italia in bicicletta), un passo per cui il tempo non è mai nemico. Sarà per l?entusiasmo con cui sa ancora aderire a nuove iniziative e per la capacità di incoraggiare tutto ciò in cui intravede un vero valore (per il Natale 2004 il suo studio Vitale-Novello ha sponsorizzato una preziosa iniziativa di Zecchini Editori che pubblica un libro e un cd su Arturo Benedetti Michelangeli). Il suo curriculum è lungo pagine e pagine e annota svariate partecipazioni in consigli di amministrazione di imprese, banche, fondazioni e università, ed elenca numerosi titoli di saggi, libri e varie pubblicazioni (è anche editorialista de Il Corriere della Sera e del Sole 24ore). Per l?enciclopedia Treccani ha anche curato la voce ?Non profit?. Insomma, un vero primo della classe (e primo della classe lo fu veramente, fu primo assoluto in Italia e secondo in Europa nella Giornata europea della scuola nel 1955, nel concorso nazionale tra i migliori studenti delle scuole medie superiori con uno scritto sull?unità europea). Ma Vitale è un primo della classe con cui si va al bar e in gita, per intenderci. Con la stessa totalità e serietà con cui si butta in ogni nuova impresa è però pronto a lasciare quando le condizioni del lavoro e dell?impegno si fanno meno chiare. Vita: A proposito di dimissioni, lei è famoso anche per le dimissioni? Marco Vitale: Mi sono fatto questa fama, e in effetti ho dato parecchie volte le dimissioni nella mia vita, ma sempre avendo realizzato i progetti per cui ero stato chiamato. Insomma, non come si dice: «Vado là e sbatto l?uscio…». Sono abituato a soffrire fino in fondo per realizzare dei fatti. Certo, la mia professione indipendente nel campo dell?economia è sempre la base della mia libertà. Laddove non esistono più le condizioni per fare quello per cui sono stato chiamato, sono sempre nelle condizioni di non dover dipendere da nessuno avendo la mia attività da portare avanti. Vita: Fu così anche 10 anni fa, in quel 1994? Vitale: Dal giugno 1993 al giugno 1994 sono stato assessore alle Attività economiche del Comune di Milano (con una delega amplissima, ragioneria e bilancio, programmazione e controllo del piano, finanze e oneri tributari, demanio e patrimonio, controlli economici e di gestione sull?attività delle aziende municipalizzate) nella giunta Formentini. Fu un anno di lavoro forsennato con dei risultati secondo me importantissimi: in quell?anno di lavoro riuscii a far partire il secondo polo dell?università alla Bicocca, a far approvare l?allargamento della Bocconi che attendeva da 15 anni. Avevo visto con chiarezza che il ruolo della formazione, dell?università, a Milano era molto importante e doveva essere rafforzato. In una delle prime giunte che facemmo proposi una delibera che diceva: «Il Comune di Milano riconosce la presenza delle università a Milano come un punto fondamentale e strategico del nuovo ciclo di sviluppo». L?altra cosa che ottenni in quel periodo, ch?era di grande restrizione creditizia, col ministro del Tesoro Ciampi furono due stanziamenti importantissimi: il primo per la realizzazione del Passante ferroviario, il secondo per il collegamento ferroviario con la Malpensa. Infine, portai a casa la trasformazione della Aem in spa: nel 94 era stata una battaglia incredibile la trasformazione della municipalizzata, soprattutto per la cultura di sinistra. Questi sono stati i risultati di cui vado orgoglioso di quel brevissimo anno. Vita: Poi arrivarono le dimissioni? Vitale: Alla fine di quell?anno mi ritirai anche perché per fare questi risultati bisognava lavorare come forsennati e a tempo pienissimo. Ma questo ancora non bastava, era necessario il lavoro politico di Formentini che curava i rapporti col partito, con la politica, con la maggioranza. Questo creava una vera protezione che mi permetteva di lavorare veramente. Ma in quell?anno ci furono le elezioni europee e la Lega ebbe il primo insuccesso elettorale. Si percepì immediatamente che Formentini uscì indebolito. Dal sottofondo del partito affiorarono molti appetiti e Formentini non riuscì più a farmi da scudo. Essendo un assessore tecnico decisi che era meglio lasciare. Comunque per completezza d?informazione, devo dire che nella mia vita ho dato le dimissioni anche da tanti privati, ricchi e potenti. Vita: Tipo? Vitale: Per esempio Carlo De Benedetti. Lavorai con lui magnificamente dal 78 all?81 sul progetto di rilancio dell?Olivetti, ma quando nacquero delle divergenze fondamentali di natura strategica sugli indirizzi futuri, fui io a dire a De Benedetti: «io non ci sto più». Vita: Colpisce nel suo modo di concepire il lavoro e l?esistenza, la persistenza di una certa lombardità. Questo profilo di attaccamento ai valori e insieme alla realtà. Si sente solo in questa percezione? Vitale: Se fossi solo, non ci sarebbe la lombardità che invece c?è, e ciò significa che tanti, nonostante tutto, vivono dentro questa valenza che è profonda, non superficiale. «Milan dis, Milan fa»: in questo detto c?è davvero il carattere lombardo, un carattere che ha dei momenti di fulgore e dei momenti di offuscamento, ha degli ambienti dove è più rispettato, e altri dove è meno rispettato, ma certamente rappresenta una caratteristica della nostra terra, della nostra città, Milano, in particolare, che io ho sempre amato in modo molto forte. Non dico che abbiamo l?esclusiva di questi valori ma certamente a livello mondiale ne siamo tra i migliori portatori. Vita: Ma non le sembra che la cultura dominante sia oggi in contrasto con questi valori? Vitale: Sì, certamente oggi c?è uno scontro in atto. Soprattutto nei gruppi dirigenti, tra i quali oggi prevalgono altri valori. Ma resta, però, lo stomaco profondo della città, che resiste. Certo, la battaglia c?è, ed è una battaglia seria. Vita: E uno dei cardini del suo sistema di valori è sicuramente il concetto di solidarietà… Vitale: Sì, il concetto di solidarietà inteso in senso corretto. Io non ho capito tutti questi intellettuali da strapazzo che hanno fatto una polemica inutile sulle parole convincenti che ha detto il cardinal Tettamanzi a Sant?Ambrogio. Per il solo fatto di aver sottolineato che esistono dei beni comuni gli hanno dato del comunista: ma sono pazzi? Bisognerebbe andare a rileggere i vecchi statuti delle nostre realtà locali, delle nostre montagne, si chiamavano ?Comunanze?: un bellissimo concetto quello di comunanza. Quando uno veniva in comunanza, veniva accolto ma prima doveva passare una serie di esami di valutazioni, doveva capire che i beni comuni si rispettano e si incrementano. Poi entrava a far parte della comunanza. Una città non è fatta solo di pietre, è fatta del vivere insieme, di condivisione, di attenzione, di collaborazione, di sensibilità. Io vedo che quando si rompono questi valori, che quando non ce ne si prende cura si raggiunge immediatamente una terribile inefficienza anche dal punto di vista economico e sociale. Dove domina la competizione pura c?è paura e sfiducia. L?«homo homini lupus» non funziona, non crea benessere. Se degli amici non coltivano l?amicizia, persino l?amicizia finisce. Neppure l?amicizia è cosa spontanea, figuriamoci il senso della comunità, così necessario al ben vivere. Tutto ha bisogno di essere curato, tutto ha bisogno di essere coltivato. Vita: Nell?arco di questi dieci anni come ha visto cambiare il Terzo settore? Non ha la sensazione che la crescita numerica non sia stata accompagnata da una crescita di consapevolezza, da una capacità di contagiare il mondo? Vitale: E’ indubbio che questi dieci anni siano stati anni di crescita di questo settore ma anche della consapevolezza della società dell?importanza di questo settore, quindi della presenza di questa voce, di questa somma di energie, di questa somma di sentimenti. è una crescita sufficiente? No, mai. Non ci si può fermare a compiacersi, bisogna subito andare avanti e dire che c?è una strada lunghissima da fare. Vita: Quali sono le sfide per il Terzo settore, oggi? Vitale: Innanzitutto non bisogna arretrare rispetto alla veemenza delle altre forze in campo (lo Stato e il Mercato), che sono invece forze che hanno il chiaro obiettivo di travolgere tutto questo, di ridicolizzare tutta questa parte del mondo, e di credere che una città è solo una questione di potere, solo una questione di ricchezza punto e basta. Siccome queste forze, oggi in particolare, sono fortissime, il rischio di subire la veemenza di questo attacco è molto forte. Quindi credo che la sfida più grossa sia innanzitutto di compattarsi, di far difesa e tenuta. In secondo luogo, l?altra grande sfida è di usare sempre di più gli strumenti della competizione, della buona organizzazione, della buona economia guardandoli come strumenti necessari e non in una visione di contrapposizione infantile e ingenua. La libertà economica è il miglior fondamento per garantire la propria libertà d?azione. Vita: In questi dieci anni il tema della responsabilità sociale d?impresa ha conquistato l?attenzione di tutti. è vera gloria? Vitale: Su questo tema mi sono espresso con grande chiarezza, qualche volta anche con grande veemenza. Si tratta di un tema importante che in genere, in tante sedi ufficiali, viene di solito distorto, e a volte, anche in tante sedi importanti ridicolizzato, strumentalizzato. Io sostengo che un?impresa seria deve avere nei suoi progetti normali, nel suo dna, la responsabilità sociale. Non è altra cosa la responsabilità sociale rispetto al fare impresa. Non si dà un?impresa cattiva che nel weekend fa una donazione o qualche atto di responsabilità sociale riconciliandosi col mondo. L?impresa, la buona impresa, quella che poi dura nel tempo, è costruita su valori che ruotano tutti intorno alla responsabilità sociale. Quando io sento dire che è qualcosa altro o che persino l?attenzione alla sicurezza sul lavoro è frutto di progetti speciali, (mi è capitato di leggere anche questo!) debbo gridare che è un?idiozia. Dare attenzione a questi valori della responsabilità, della sicurezza, della comunità, non è avere il timbro di impresa socialmente responsabile. è il timbro di un?impresa seria. Allora ecco perché dico che il 90% di quello che sento dire quando si parla di csr è paccottiglia. Il bilancio sociale può essere utile in qualche situazione, ma in contesti abbastanza rari. Spogliate i bilanci sociali di tutte le fotografie, di tutta la pubblicità, che resta? Restano dati che devono entrare nell?informativa normale di una buona azienda. Vita: Si parla tantissimo oggi di valori cristiani da esibire, da difendere. Il suo essere cattolico, invece, non è mai ostentato, esibito. Sta sempre sottotraccia? Vitale: Perché in me la cultura cattolica, il pensiero cristiano, la pratica religiosa sono molto interiorizzate, fanno parte dei miei fondamenti culturali forti. Il mio grande riferimento negli anni della mia formazione fu padre Giulio Bevilacqua, parroco a Brescia, poi cardinale e negli ultimi anni confessore di Papa Montini. Con lui, quando eravamo al liceo, siamo entrati nella profondità del pensiero cristiano e nella profondità dei testi cristiani, e ci insegnò a non guardare mai il grande pensiero laico come a un nemico. Leggevamo Romano Guardini e Carlo Cattaneo con la stessa passione. Il vero salto di civiltà si ha quando le culture si incrociano e si auto-alimentano. Portando ognuna i suoi doni.


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