Non profit

Per sottrarla al divieto, l’industria dell’azzardo inventa la «pubblicità retroattiva»

Tra gli ultimi trucchi per sfuggire alle sanzioni imposte dal Decreto Dignità alcune società dell'azzardo si servono di filmati e campagne precedenti l'entrate in vigore del divieto. Interrogata, AGCOM afferma di «non poter intervenire». Così fosse, ogni pubblicità realizzata prima del 2018 potrebbe essere replicata

di Marco Dotti

Il decreto dignità, emanato nell'agosto di due anni fa, ha cambiato le carte in tavola sul tema della pubblicità del gioco d'azzardo legale.

Il caso Google

I grandi operatori di settore si sono adeguati, più o meno a malincuore e AGCOM, l'autorità preposta a sanzionare i comportamenti illeciti, dopo i primi tentennamenti, ha cominciato a muoversi in più direzioni. Ultimo caso, abbastanza eclatante: la sanzione di 100 mila euro a oogle Ireland, titolare del servizio Google Ads, che posizionava nel motore di ricerca alcune landing page di siti di azzardo online.

In particolare, spiega l'Autorità Garante per le Comunicazioni «la società, tramite il proprio motore di ricerca www.google.com, ha diffuso l’annuncio a pagamento del sito sublime- casino.com che svolge attività di gioco e scommessa con vincite in denaro».

L’Autorità ha ritenuto che «l’attività posta in essere da Google Ads, al di là dell’onerosità della prestazione resa, non sia in alcun caso qualificabile come servizio di hosting, atteso che l’elemento caratterizzante la prestazione non consiste “nell’ospitare” il messaggio pubblicitario, ma piuttosto nel permetterne la diffusione attraverso diversi siti internet destinatari del messaggio».

L’attività di memorizzazione è stata considerata da AGCOM secondaria ma «tecnicamente necessaria per la prestazione del servizio principale», servizio finalizzato «alla promozione diretta di scommesse egiochi a pagamento, attività espressamente vietata dall’ordinamento nazionale».

Il caso degli eventi sportivi

Ma qualcosa – o, forse, molto – sfugge alle maglie abbastanza strette del divieto di pubblicità dell'azzardo previsto dal Decreto Dignità.

Sono soprattutto gli operatori del settore scommesse sportive e i casinò online a praticare forme di "derivazione pubblicitaria". Un tema che sta diventando sempre più evidente, con la crescita degli utenti di piattaforme on demand, in particolare per gli eventi sportivi.

Tra i tanti modi per aggirare il divieto, i più classici sono quelli delle sponsorizzazioni con cartelloni mobili a bordo campo o, durante le conferenze stampa, alle spalle di allenatori e calciatori. Ma, da qualche tempo, anche forme "off line" meno sofisticate, ma a quanto pare efficaci vengono messe in campo.

Remigio Del Grosso, oggi membro dell' Osservatorio GAP Regione Lazio, ma già vice presidente CNU-AGCOM, vice presidente Comitato Media e Minori MiSE, membro Comitato Scientifico RAI ce ne spiega uno: «ho segnalato ad Agcom che sulle vetrine del negozio Macron di P.zza San Silvestro a Roma, viene diffuso in loop un (vecchio) filmato della vittoria in Coppa Italia della Società Sportiva Lazio, sulle cui maglie è ben visibile il marchio di una società di scommesse, tuttora operante in Italia, che a suo tempo sponsorizzava la squadra».

Questa la risposta dell’Autorità, che sembrerebbe legittimare sottotraccia la diffusione di immagini e filmati con marchi di società del gioco d’azzardo, purchè realizzati “prima dell’entrata in vigore del decreto dignità”:

«Il filmato relativo alla partita finale della Coppa Italia 2019 nel quale appaiono i giocatori della squadra di calcio della Lazio, con ben visibile sulle maglie la sponsorizzazione di una società di scommesse” è riferibile a un evento sportivo disputato e ripreso in data 15 maggio 2019 – circostanza evidentemente nota e di pubblico dominio – vale a dire in quell’arco temporale fatto salvo dalla norma richiamata. La condotta descritta si riferisce dunque a un fatto posto in essere prima dell’entrata in vigore del decreto dignità rispetto al quale, in ossequio al principio tempus regit actum, l’Autorità non può intervenire. Ne consegue che non sembrano ricorrere nel caso di specie i presupposti ai fini dell’avvio di un procedimento sanzionatorio per la violazione del divieto sancito dall’art. 9 del cd. decreto dignità».

Questo, in punta di diritto, ha una sua coerenza, ma la sostanza forse contraddice quella coerenza. Se così stessero le cose, infatti, rischia di aprirsi uno squarcio nel divieto: qualsiasi pubblicità precedente il 2018 potrebbe essere riprodotta e replicata.

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