Mondo

Per rompere il silenzio dell’Africa sui suoi migranti

di Cecile Kyenge

Ci stiamo abituando a considerare il fenomeno migratorio in termini “eurocentrici” mentre il tema è globale. Sono 250 milioni le persone che sono migrate, nel mondo, dal loro paese di nascita. Soprattutto, ci siamo abituati a pensare all’Africa come una terra immensa e ricchissima da cui scappano milioni di persone, in fuga dai conflitti, dalla miseria sociale e dal malgoverno, per raggiungere un unico traguardo: l’Europa. Ma così non è. Oggi la grande maggioranza dei flussi migratori africani avvengono all’interno dell’Africa stessa e in misura molto minore verso l’Europa, e poi verso i paesi del Golfo arabo, l’Asia e l’America.

Altro fenomeno ignoto ai più: tra i migranti che circolano nel continente africano, molti devono subire le stesse discriminazioni che si verificano nel Vecchio continente, se non peggio. Il problema non è nuovo, ma negli ultimi anni ha preso una dimensione molto preoccupante. Basti pensare alle atrocità che essi subiscono in Libia. Lo scorso anno, Amnesty International ha pubblicato un rapporto dai contenuti agghiaccianti che testimoniano l’orrore e la situazione molto difficile in cui versano migranti e profughi africani sottoposti a sfruttamento, rapimenti, persecuzione religiosa, violenze sessuali e altri abusi da parte di gruppi armati criminali e dai trafficanti. Ma la Libia è la solo la punta dell’iceberg di una tendenza che si diffonde fino all’Africa australe, dove mi sono recata questo mese per partecipare ad una riunione regionale di alto livello organizzata dall’Assemblea parlamentare paritaria UE-ACP di cui sono vice-presidente.

Dal 20 al 22 aprile, a Gaborone, in Botswana, una cinquantina di deputati dell’Africa australe ed europei si sono riuniti per discutere sui temi di attualità più caldi in questa regione. Le migrazioni, già all’ordine del giorno, sono diventate una priorità assoluta dopo che lo Zambia è stato il teatro di violenze xenofobe gravissime perpetrate contro migranti provenienti dal Rwanda, dal Burundi e dalla Tanzania. Come in qualsiasi paese europeo, lo Zambia sta attraversando una profonda crisi economica. Il crollo del prezzo del rame sui mercati internazionali, di cui Lusaka è uno dei più grandi esportatori al mondo, ha dimezzato il valore della moneta locale e spinto migliaia di zambiani nella povertà più estrema. E come in qualsiasi paese europeo, gli “stranieri” sono diventati i capri espiatori di una crisi rispetto alla quale non hanno colpe. Anzi, il loro apporto all’economia locale è sempre stato valutato positivamente. Ma oggi no. Il presente è all’insegna di una caccia all’uomo generalizzata che fa spavento se si pensa che nel 1979, proprio a Lusaka, gli Stati del Commonwealth e della regione avevano firmato una dichiarazione storica contro il razzismo e l’apartheid che opprimeva il Sudafrica.

Purtroppo anche la patria di Mandela, che pure tanto ha fatto per la difesa dei neri sudafricani, non è immune dalla xenofobia. Coloro che ieri erano perseguitati ed esclusi dai bianchi sono oggi i protagonisti di una nuova tipologia di violenza commessa contro i migranti presenti in Sudafrica. E sembra che le lotte anti-razziste straordinarie portate avante dall’African National Congress di Mandela durante il periodo dell’apartheid siano state gettate nell’oblio della memoria collettiva sudafricana. Com’è possibile che 2 o 3 milioni di migranti, che rappresentano appena il 4% dei lavoratori del paese e che secondo il Centro africano delle migrazioni dell’Università di Witwatersrand  riescono a generare ciascuno dai due ai tre posti di lavoro, possano incutere una così grande paura alla nazione “arcobaleno”? Eppure è così. Lo testimoniano le immagini terribili diffuse dalle televisioni internazionali nel dicembre 2015 a Durban e Johannesburg. Si vedevano sudafricani delle ‘township’ mettere a fuoco negozi appartenenti a cittadini dello Zimbabwe e costringere 100 mila migranti africani ad abbandonare la propria casa.

Questi episodi non ci sono sfuggiti quando ci siamo riuniti alcune settimane fa a Gaborone, in Botswana. Nelle sue conclusioni, l’Assemblea parlamentare paritaria UE-ACP ha ricordato che in Africa australe, dove l’insicurezza alimentare colpisce 29 milioni di persone, i cittadini si spostano principalmente per motivi economici e che il contributo delle migrazioni ai paesi della regione è positivo. Per contrastare la xenofobia e il razzismo che sta divampando in quest’area dell’Africa, è necessario adottare dei piani e degli accordi nazionali a favore della protezione e dell’integrazione dei migranti. Il Sudafrica, che accoglie il maggior numero di profughi e migranti dell’Africa australe, deve dare l’esempio. Così com’è altrettanto importante che l’insieme degli Stati africani rafforzino le loro politiche migratorie, nel rispetto dei diritti dei migranti. Sarebbe un segnale importante da mandare all’Europa e al resto del mondo, dove del resto vivono milioni di africani. Oggi più che mai, l’Africa deve rompere il silenzio che ha fatto calare sulla sorte dei suoi “migranti interni”.

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