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Per rifare l’Europa occorre rifare gli europeisti

di Alessandro Mazzullo

"Se beni, uomini e capitali possono muoversi liberamente attraverso le frontiere statali, diventa chiaramente impossibile influenzare i prezzi dei diversi prodotti attraverso l'azione del singolo Stato. L'Unione diventa un mercato unico, e i prezzi nelle sue varie parti si differenziano soltanto in base al costo del trasporto"

Von Hayek, The economic condition of inter-state federalism, 1939.

Anche nel pensiero di Hayek ritroviamo alcune delle radici neoliberiste di un'Unione europea dove la politica è ridotta a tecnica. In quest’ottica, lo Stato, privato della sua politica fiscale e monetaria, è sostituito dal Mercato nella risoluzione dei conflitti socio-economici.
Sono le radici di una costruzione neoliberista che continuano a determinare alcuni degli errori strutturali più gravi dell'attuale assetto istituzionale.

L'Unione europea non è solo il sogno mancato dell'europeismo di Ventotene. È anche l'incubo perfettamente riuscito di un certo costrutto ideologico la cui fallacia è oggi sotto gli occhi di tutti.
Un'Unione volutamente economica anziché politica perché, in quell'ottica neoliberista, la politica va ridotta a mera tecnica e l'intervento dello Stato ridotto al minimo, a vantaggio di un'immaginifica azione autoregolativa del Mercato.
È lo stesso costrutto ideologico che spiega norme come quelle che vietano forme di assistenza finanziaria degli Stati o dell'Unione nei confronti degli altri Stati (no bail out – art. 125 TFUE). Sono le stesse radici delle teorie monetariste che spiegano l'attuale divieto per la Banca Centrale di acquistare direttamente (nel mercato primario) i titoli del debito pubblico dei singoli Stati (art. 123 TFUE). La stessa sconfinata fiducia nella capacità del Mercato di disciplinare al meglio la politica dei singoli Stati, quotandone il valore attraverso i tassi di interessi dei propri debiti pubblici.

Debiti che, come nella lingua tedesca (schuld), sono identificati necessariamente come colpe da espiare! Anche quando la crisi non è economica ma sanitaria; non è simmetrica ma asimmetrica; non è dovuta ad un eccesso di spesa ma all'insostenibilità del costo dei debiti pubblici stabiliti dallo stesso Mercato tramite le spinte speculative che fanno impennare spread e tassi di interesse[2]. E naturalmente anche da diversi errori politici nostrani, sia chiaro.

Debito e colpa! È intorno a quest’unica prospettiva, non a caso, che ruotano tutti gli strumenti finora messi in campo dall’UE (dal MES, al Quantitative easing di Draghi e Lagard, al Sure, ecc.). E non solo per cattiva volontà di alcuni Stati più egoisti, ma per gli stessi limiti strutturali della costruzione giuridica che ci siamo dati[3].

Come lucidamente scritto da A. Somma: "A queste condizioni l’abbandono della costruzione europea, o più probabilmente la sua implosione, non costituiscono certo eventi improbabili. Rifiutando di prenderli sul serio e di discuterli, si otterrebbe come unico risultato di lasciare la loro gestione alle destre, la cui volontà di combattere la normalità capitalistica è però “un’opzione soltanto teorica”[xxi]. Anzi, le destre si trasformerebbero in un formidabile presidio di quella normalità, dal momento che il loro richiamo a valori escludenti e premoderni assolve all’unica funzione di sostenere la modernità neoliberale: di consentire al capitalismo di guadagnare altro tempo, con o senza l’Unione europea" (vedi qui).

Parafrasando M. Di Ciommo, per rifare l’Europa occorre rifare gli europeisti!

Perché l’Europeismo non può essere solo resistenza al rigurgito del neo-nazionalismo. Né può essere resistenza al cambiamento, edulcoramento della realtà e dei suoi limiti!

La soluzione europea, per il sottoscritto, rimane la migliore chance di futuro per i nostri figli e nipoti.

Ma a patto che se ne rivedano profondamente certe radici culturali e giuridiche. A patto la discussione intorno ad una radicale rottura con lo status quo ante non sia più un tabù. A patto che la politica e l’etica tornino a guidare il Mercato e non viceversa[4]. A patto che la finanza torni ad essere leva per la creazione di valore e non solo di profitto. A patto che la sostenibilità diventi uno degli asse principali (e vincenti) nelle scelte strategiche di questo Continente.

"Se abbandonassimo tutte le prospettive verso un governo federale, giungeremmo a una semplice alleanza offensiva e difensiva. E ci metteremmo nella condizione di essere alternativamente amici e nemici di ciascuno di noi, a seconda di ciò che suggeriscono le nostre reciproche gelosie e rivalità, alimentate dagli intrighi di nazioni straniere".

Hamilton, Federalist Paper n. 15, 1787 in merito al dibattito che precedette la fondazione degli Stati Uniti d’America!

[1] Von HayeK, The economic condition of inter-state federalism, 1939.

[2] Sul punto, basti pensare che l’Italia è da venti anni il Paese che, al netto della spesa per interessi, risparmia più di tutti gli altri (avanzo primario). E, al di là di una certa retorica anti-italiana, ogni tanto sembrano accorgersene anche in Germania: vedi qui.

[3] Vedi qui.

[4] Sia consentito il rinvio a A. Mazzullo, Il rovescio della moneta. Per un’etica del denaro, EDB, 2019 e ID, Il Mercato, il Tempio e la Città in (a cura di) F. Occhetta, Le politiche del popolo, San Paolo, 2020.

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