Economia
Per Legacoop un futuro con più occupazione, nuovi investimenti e aggregazioni
I dati dell’ufficio studi mostrano come il settore abbia reagito alle difficoltà generando posti di lavoro e fatturato. Il presidente Lusetti: «Le cooperative avranno un ruolo sempre più attivo nelle politiche economiche sociali italiane. Noi cresciamo anche in tempi di crisi»
di Redazione
Se rappresentassero l’economia di un Paese avrebbero diritto a un posto nel G8 e sarebbero la settima potenza economica. Se il numero dei soci venisse trasformato nella popolazione di uno Stato, sarebbe il terzo Paese più popoloso, a un passo dall’India. Con oltre 250 milioni di posti di lavoro ogni dieci occupati al mondo uno è impiegato in una cooperativa. La cooperazione è dunque uno dei motori dell’economia mondiale. Motore di uno sviluppo “a misura d’uomo”, come testimoniano i dati italiani: qui le cooperative erogano servizi di welfare a 7 milioni di persone e sono una realtà capace di inclusione: sono donne il 52,8% delle persone occupate mentre il 22% sono immigrati.
In questo contesto si inserisce l’assemblea dei delegati e delle delegate a Roma dove ripercorrendo la storia dei 130 anni di Legacoop il presidente Mauro Lusetti, a due anni dall’inizio del suo mandato, fa il punto sullo stato di salute della cooperazione e delinea le sfide future del settore. Un comparto che in questi anni ha saputo reagire continuando a generare fatturato e creando nuove opportunità di lavoro. A testimoniarlo sono i dati dell’ufficio studi di Legacoop. Tra il 2008 e il 2016 ha aumentato i posti di lavoro di oltre il 6% rispetto al sistema che ha perso l’1,7% dei posti. L’Alleanza rappresenta in termini economici oltre il 93% del movimento cooperativo italiano e in termini occupazionali quasi l’85%. E il futuro? Sinergie, alleanze e aggregazioni sono le strade da percorrere per non perdere competitività e quote di mercato.
«Più giovane, più hi tech e con un ruolo: è questa la direzione dove la cooperazione sta andando. Il volto della cooperazione del futuro sarà anche questo con un forte ricambio di genere e generazione. E non solo: la nostra strada», spiega Mauro Lusetti, «è quella dell’autoriforma. Vogliamo lavorare con il Governo per costruire una revisione delle forme di vigilanza, con l’obiettivo di avere cooperative autentiche e genuine. Anche sul prestito sociale non intendiamo consegnarci all’immobilismo: vogliamo definire in tempi rapidi, spero entro marzo, una nostra proposta di autoregolamentazione dell’istituto per le cooperative che ne fanno uso».
L’ultima indagine del Centro studi di Legacoop, racconta che il 41,4% delle 262 cooperative di un campione che rappresenta il 23,4 % della produzione totale Legacoop (esclusa Unipol), conferma un fatturato nel 2016 in crescita mentre solo il 28% ha conosciuto un arretramento. Risultati confermati anche nell’ultima parte del 2016, quando il 32,8% degli intervistati ha visto un aumento del fatturato, con picchi per distribuzione (66,7%) e agroalimentare (54,5%). Anche per l'occupazione le indicazioni di un aumento degli addetti rispetto all'anno precedente (25,2%) prevalgono rispetto alle diminuzioni (18,7%), con una forte differenziazione tra grandi e piccole cooperative (aumento per 34,1% tra le grandi cooperative e del 21,1% per le piccole e medie).
Per i prossimi mesi – nonostante un atteggiamento cauto a causa dei timori sull’andamento al ribasso dell’economia italiana – il sentiment è positivo per l’andamento della domanda e dell’occupazione: in generale il 14,5% dei cooperatori Legacoop ha espresso indicazioni di aumento della manodopera occupata, mentre l’12,2% prevede una contrazione degli addetti. Per quanto riguarda il futuro della cooperativa, il 61,8% prevede un consolidamento. Più di una cooperativa ogni 10 (11,5%) vede all’orizzonte aggregazioni o fusioni con altre cooperative.
In conclusione Lusetti si è rivolto «ai decisori politici e istituzionali», cui ha chiesto, «certezze, senso di responsabilità e visione di futuro. Abbiamo bisogno di un orizzonte: per le imprese il sì va bene, al no si rimedia, ma l’incertezza uccide. Perché in questa condizione un’impresa non sa come agire, se assumere, quando investire. Questa attenzione al futuro, ai bisogni reali di persone e imprese, è nel nostro dna. Questo vorremmo fosse il tratto comune di un paese che prova a cambiare e non si rassegna! Così, insieme ad altri, si può essere classe dirigente. Nel senso alto e responsabile del termine: né elite né tantomeno casta».
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