Economia
Per la crisi 90mila famiglie italiane rischiano di perdere la casa
«Vedranno la casa dove vivono, il negozio e il laboratorio che rappresenta la loro fonte di reddito, messe all’asta da società cui le banche hanno ceduto i crediti deteriorati. Società che operano attraverso entità finanziarie, domiciliate in paradisi fiscali, realizzando i propri guadagni esentasse fuori d'Italia: una situazione inaccettabile», chiarisce Luciano Gualzetti direttore della Caritas Ambrosiana e presidente delle Fondazione San Bernardino
di Redazione
«La crisi non colpisce più solo i poveri ma anche il cosiddetto ceto medio. Per questo in vista della ripresa dei contagi e dell’aggravarsi delle condizioni economiche degli italiani già provati dal lockdown della scorsa primavera, il Governo ha fatto bene a bloccare fino alla fine dell’anno l’invio delle cartelle esattoriali e a sospendere i pignoramenti esecutivi per i debiti contratti nei confronti della pubblica amministrazione. Ma questo non è sufficiente. Sarebbe necessario estendere fino al 31 dicembre lo stop anche delle aste immobiliari per i prestiti che i cittadini non sono in grado di restituire alle banche su prime case, laboratori e negozi. E rendere operativo il nuovo ordinamento sul sovra-indebitamento già legge dello Stato, ma per ragioni incomprensibili continuamente osteggiato e rimandato». Lo afferma Luciano Gualzetti direttore della Caritas Ambrosiana e presidente delle Fondazione San Bernardino.
A fronte della ripresa della pandemia e delle sempre maggiori sofferenze finanziarie delle famiglie, il Consiglio dei Ministri ha approvato, insieme alla legge di Bilancio 2021, un decreto ad hoc per prorogare fino al 31 dicembre 2020 lo stop alla riscossione di 9 milioni di cartelle esattoriali che sarebbe ripresa a partire dal 15 ottobre, termine della moratoria. Con il provvedimento ha anche bloccato fino al 2021 le attività di notifica. Il governo non ha invece previsto di prolungare lo stop per le esecuzioni immobiliari stabilite dal decreto legge “Cura Italia” e che scade prima della fine di ottobre.
«Se non si interverrà in tempo 90.000 famiglie in Italia, di cui 20.000 in Lombardia, ulteriormente impoveritesi durante il lockdown, vedranno la casa dove vivono, il negozio e il laboratorio che rappresenta la loro fonte di reddito, messe all’asta da società cui le banche hanno ceduto i crediti deteriorati. Tali società operano attraverso entità finanziarie, domiciliate in paradisi fiscali, in questo modo i guadagni che realizzano svendendo gli immobili, finiscono esentasse fuori d'Italia: una situazione inaccettabile, tanto più in un momento di grave difficoltà come questo», osserva Gualzetti.
Inoltre il direttore della Caritas Ambrosiana, anche in qualità di presidente della Fondazione San Bernardino, propone di introdurre nel primo dispositivo di legge utile procedure di esdebitazione veloci per le famiglie incapienti.
Una riforma che renderebbe più facile a privati e consumatori negoziare coi creditori piani di rientro per cancellare il debito, è in realtà già pervista dal nuovo Codice della crisi. Purtroppo, però, il Codice entrerà in vigore solo alla fine del 2021. Troppo tardi dunque per aiutare i sovra-indebitati in un contesto di grave crisi sociale come è quello attuale provocato dalle misure di contenimento assunte a febbraio dal governo per frenare la diffusione del virus.
Per questa ragione la Caritas Ambrosiana e la Fondazione San Bernardino, con la consulenza dell’Università Cattolica, a febbraio, si erano fatte promotrici di un emendamento al Decreto semplificazioni per anticipare gli effetti di quella riforma e dunque favorire le famiglie nell’accesso a piani di recupero. L’emendamento sottoscritto da 29 fondazioni e associazioni anti usura, 38 magistrati e 32 docenti universitari, era naufragato proprio nelle battute finali della conversione in legge del decreto. Lo stesso testo era stato poi riproposto questa estate anche in occasione della conversione in legge del Decreto Agosto. Nonostante il parere favorevole del Ministero della Giustizia, l’emendamento neanche quella volta era passato per il parere contrario della Ragioneria dello Stato che aveva costretto il presidente della Commissione bilancio a ritirarlo.
«Sono norme di civiltà previste dagli ordinamenti di molti altri Paesi europei. Appena sarà possibile, le ripresenteremo perché le famiglie indebitate non possono più attendere», sottolinea Gualzetti.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.