Non profit
Per i più ricchi il piatto delle donazioni piange ancora
Nella seconda edizione della ricerca di Fondazione Donor Italia sull’esperienza filantropica dei “wealthy people” si conferma la scarsa propensione a donare nel nostro Paese: solo il 5% tra i più abbienti dona più di 100mila euro. Cresce il ruolo propositivo di banche e asset manager
Perché gli italiani donano così poco? O meglio, perché le donazioni da parte dei nostri connazionali più abbienti sono così piccole se paragonate a quelle dei loro “colleghi” americani e di altri paesi europei?
VITA se lo è chiesto assieme a Fondazione Donor Italia che, per il secondo anno consecutivo, con il supporto di Finer finace explorer e Fondazione Italia sociale ha svolto la ricerca sull’esperienza filantropica dei Wealthy people in Italia, ossia sulle donazioni elargite dalla parte più abbiente della popolazione. In gioco non c’è l’obiettivo di primeggiare o di voler sfoggiare le proprie buone azioni. Ma la maturità di un sistema filantropico che ha un potenziale di crescita e sviluppo molto significativo, soprattutto in un frangente come quello che stiamo vivendo, in cui il welfare tradizionale mostra tutti i suoi limiti e il Terzo settore ha sempre più bisogno di nuove forme strutturali di sostegno per svolgere i suoi compiti. In proposito, sono stati molto chiari tutti gli esperti del settore del “wealth management” intervenuti nel convegno di presentazione della ricerca svoltosi presso Deloitte a Milano.
I numeri, quindi. Siamo un Paese che complessivamente dona 10 miliardi di euro l’anno, appena lo 0,2% dei 5 mila miliardi di euro della ricchezza finanziaria dei suoi cittadini, che sono tra quelli con il più grande patrimonio immobiliare privato in tutto il mondo. Per fare un paragone, le donazioni degli americani, che sono sei volte più numerosi di noi, superano quelle dei nostri connazionali di ben quarantotto volte. Il raffronto è un po’ meno clamoroso se si guarda a quanto fanno inglesi, tedeschi e francesi, in cui .
Ma chi sono e quanto donano gli italiani più abbienti? Il campione della ricerca ha coinvolto quasi 1.400 wealthy people con una ricchezza finanziaria compresa tra 500mila e dieci milioni di euro. Nello specifico, sono stati intervistati 1.178 privati (con asset finanziari da 500mila a cinque milioni di euro) e 197 High net worth individuals ossia persone con asset finanziari superiori a cinque milioni di euro.
Tutti hanno donato ad almeno una organizzazione, ma le donazioni restano basse rispetto al patrimonio: solo il 5% degli intervistati ha donato più di 100mila euro. Il potenziale inespresso dei più abbienti è ancora più evidente se si analizza il valore mediano delle donazioni al patrimonio: per nessuna fascia di ricchezza le donazioni mediane superano l’1% del patrimonio finanziario. In aumento le donazioni a favore di organizzazioni che si occupano di cooperazione internazionale, assistenza e cura sanitaria, anziani e ambiente. In ultima posizione il settore cultura e sport (7%)
Quanto alle motivazioni che spingono a donare, queste sono per lo più legate alla sfera intima ed emotiva. Cresce il numero di coloro che si rivolgono ad esperti soprattutto relativamente alla pianificazione successoria e alla scrittura del testamento (con un aumento del 41% rispetto all’anno precedente) e su come fare filantropia in modo smart senza alterare il proprio stile di vita (+ 45% rispetto al 2021).
La seconda edizione di questo studio si concentra anche sulle donazioni effettuate da imprenditori, nella loro qualità di clienti di istituzioni finanziarie, come pure quello del ruolo, centrale, che potrebbero giocare proprio i protagonisti del wealth management, specie se decidessero di assumere un approccio più proattivo. In questo ambito, risulta ancora poco sviluppata la richiesta di aiuto ad esperti che possono accompagnare i filantropi nelle loro decisioni, come già osservato nella prima edizione. La scelta dell’ente da sostenere è per lo più individuale e autonoma per il 79% del campione, ma cresce il ruolo di banker e consulenti, unici dati in aumento rispetto all’anno precedente e trend coerente con quanto osservato all’estero.
Rispetto agli altri loro colleghi “ricchi”, sembra proprio che quelli italiani non siano ancora in sintonia con gli strumenti filantropici largamente diffusi all’estero. Lo strumento del trust, ad esempio, è il più noto tra i grandi donatori italiani ma solo il 45% dichiara di conoscerlo o di essere intenzionato ad usarlo in futuro. A seguire, le fondazioni di famiglia, più note fra gli individui con patrimoni tra 500 mila e 1 milione di euro (75%) e sono utilizzate soprattutto dagli imprenditori (17%). Quasi nessuno invece conosce i Donor advised fund (Daf) e li utilizza: nessuno tra gli intervistati con patrimonio sotto il milione di euro li conosce, anche se tra gli imprenditori il 10% ha dichiarato di essere interessato ad usare lo strumento in futuro.
Nel ricco dibattito di presentazione della seconda edizione dello studio, è emerso quindi che le istituzioni finanziarie e le imprese hanno il dovere di sentirsi motori per l’accelerazione delle attività di intervento nella società, per rafforzare il proprio impatto e anche la professionalità degli enti del Terzo settore chiamati a ricevere nuove e più cospicue donazioni dal sistema della filantropia italiana.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.