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Per i migranti si sfrutti la rete di associazioni e cooperative

La proposta di Stefano Lepri del Pd, «Oggi in Italia ci sono quasi centomila imprese sociali. Chiediamo loro di accogliere non più di due immigrati ciascuna e ad utilizzare le proprie reti di relazione per l'inserimento sociale e lavorativo. Una soluzione che garantirebbe un basso impatto sulla popolazione e un maggior controllo sociale»

di Stefano Lepri

Di fronte ai profughi dal Mediterraneo, ci si domanda da tempo come uscire da una condizione emergenziale, consapevoli della necessità di affrontarla anzitutto con un’assunzione di responsabilità collettiva di tutti i paesi dell’Unione europea.

A parte la prima accoglienza e la necessaria accelerazione delle procedure per il riconoscimento o meno dello status di rifugiato, la seconda accoglienza può trovare una soluzione semplice e fattibile rapidamente. Oggi in Italia ci sono quasi centomila imprese sociali: cooperative sociali, associazioni, fondazioni, Ipab. Una buona parte di loro gestisce comunità, case di riposo, gruppi appartamento, case per l'emergenza. C'è motivo di ritenere che abbiano camere e letti non utilizzate e che non si sottrarrebbero a questa semplice proposta: ogni struttura offra disponibilità ad accogliere non più di due immigrati e si impegni (solo qualora venga riconosciuto lo status di rifugiato) a utilizzare le proprie reti di relazione per l'inserimento sociale e lavorativo.

Tra i vantaggi di una tale “spalmatura” dell'accoglienza, annoto il basso impatto sulla popolazione e un maggior controllo sociale; il possibile impiego degli immigrati come volontari entro quei servizi, anche per meritare i rimborsi dati loro per il mantenimento; il coinvolgimento di volontari del luogo a loro favore; un riscatto di immagine per le imprese sociali, infangate per colpa di pochi; risparmi in termini di costi di accoglienza (non superiori a quelli riconosciuti oggi per l'ospitalità in alberghi) e di costi di polizia.

Per organizzare tutto ciò non serve una grande organizzazione; bastano una task force interministeriale, un decreto apposito e veloci accordi con le maggiori reti di gestione. Gli hub regionali per la prima accoglienza a cui si pensa (in particolare le caserme dismesse) possono servire, ma solo per la prima fase. Poi occorre lo smistamento, diversamente quei grandi centri di accoglienza si riempiono e si trasformano in polveriere. Ma questo esito forse si può evitare».

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