Cultura

Per girare l’Africa serve un bagaglio minimo: il rispetto

Il ricordo di Albanese, che con Ryszard Kapuscinski ha condiviso l’amore per l’Africa, di Giulio Albanese

di Redazione

Ryszard Kapuscinski è partito per l?ultimo viaggio, quello al di là della storia, raggiungendo questa volta una frontiera davvero lontana, fuori dello spazio e del tempo. Il grande maestro se n?è andato, lasciando un incolmabile vuoto nell?areopago del giornalismo. Non foss?altro perché ha saputo raccontare quello che molta gente avrebbe voluto conoscere di altri mondi, distanti anni luce dal nostro. La sua era una sorta di empatia capace di cogliere l?essenza dell?alterità.

Quando alcuni anni fa lo incontrai, mi confidò che per lui il giornalismo era la «news not in the news», «la notizia che non era sulle agenzie»; qualcosa che andava dilatandosi oltre il fatto, una specie di navigazione in cui per muoversi bisognava lasciarsi prendere dalle onde, dal vento, scrutando l?orizzonte, senza fissare unicamente la punta dell?iceberg. In altre parole il contesto generale, secondo la sua esperienza, era indispensabile per una comprensione olistica del particolare. Non è un caso che prima d?intraprendere un viaggio – lo disse al suo amico Wlodek Goldkorn – leggesse un?intera biblioteca, contrariamente a coloro che prima di partire ritagliano in fretta e furia pochi scampoli di giornale. D?altronde, dobbiamo ammettere che dopo aver letto Kapuscinski l?unica conclusione a cui possiamo giungere è che il giornalismo, soprattutto in Italia, è in prognosi riservata: siamo al capezzale di un paziente che versa in gravi condizioni, in sala di rianimazione. Di tutte le mistificazioni sul suo stato di salute, indubbiamente, la più eclatante è quella di presentarsi spesso con la maschera dell?innovazione, e talvolta del progressismo, ma ispirandosi il più delle volte a una sorta di populismo oscurantista. In effetti, a pensarci bene, stando seduti di fronte al piccolo schermo, sfogliando molti giornali o ascoltando alcune radio assistiamo quotidianamente a una semplificazione casereccia delle notizie, soprattutto quelle dal Sud del mondo, che degenera in una banalizzazione estrema. A questo riguardo mi sovviene un brano di Ryszard che ha saputo raccontare l?Africa in maniera intelligente, cogliendo spazi di vita vissuta e spingendosi oltre i soliti stereotipi infarciti di pietismo e carità pelosa.

Eccolo: «Spesso i rappresentanti dei Paesi sviluppati si scoprono sorpresi nel veder rifiutato il loro modo di vita. Eppure esistono culture in cui il lavoro è meno importante della preghiera. Certo, in questo modo la gente non produce automobili né computer, ma neanche le interessa farlo. Personalmente non mi sento deluso dal loro rifiuto, anzi provo rispetto per popolazioni che nella scala dei valori mettono al primo posto la famiglia come fonte di ogni soddisfazione (…). I viandanti che percorrono l?Africa di solito si portano dietro solo un piccolo fagotto. Non sentono il bisogno di possedere di più, si accontentano del minimo indispensabile. Se si rivolge loro la parola, sorridono, ospitali e gentili. Danno l?impressione di essere felici. Vivono altre realizzazioni» (in Lapidarium. In viaggio tra i frammenti della storia).

Questo, in fondo, è lo spirito che dovrebbe animare ogni cronista innamorato dell?Africa e del Sud del mondo. Uno spirito, ahimè, incomprensibile per coloro che considerano l?editoria null?altro che un supermercato dell?informazione, ma pur sempre indispensabile nel laborioso processo di dialogo tra le culture.

Partecipa alla due giorni per i 30 anni di VITA

Cara lettrice, caro lettore: il 25 e 26 ottobre alla Fabbrica del Vapore di Milano, VITA festeggerà i suoi primi 30 anni con il titolo “E noi come vivremo?”. Un evento aperto a tutti, non per celebrare l’anniversario, ma per tracciare insieme a voi e ai tanti amici che parteciperanno nuovi futuri possibili.