Non profit

Per finanziare il Terzo settore non esiste solo la logica concorrenziale

Quello delle modalità di finanziamento delle attività del Terzo settore, sul quale di recente è stato aperto su vita.it un dibattito tanto positivo quanto necessario, è un tema di assoluta importanza per il mondo del non profit. Già da diversi anni, infatti, sia nel settore pubblico che in quello privato esistono esperienze di rapporto con il Terzo settore che all’impianto concorrenziale dei bandi sostituiscono o affiancano uno inclusivo e partecipativo

di Claudia Fiaschi

Quello delle modalità di finanziamento delle attività del Terzo settore, sul quale di recente è stato aperto un dibattito tanto positivo quanto necessario, è un tema di assoluta importanza per il mondo del non profit, che si lega direttamente al ruolo dei soggetti erogatori di risorse – sia pubblici che privati – rispetto alle organizzazioni di Terzo settore e alla questione della trasposizione del modello “tradizionale” di economia di mercato negli ambiti sociali, che solo in pochi casi, in realtà, è effettivamente possibile e auspicabile allo stesso tempo.

Esiste, è vero, un rischio che il Terzo settore vada incontro a un lento e graduale indebolimento della propria capacità innovativa di lettura e risposta ai bisogni delle persone, di “ridimensionamento forzato” della sua visione, per natura estesa e lungimirante, della società e delle trasformazioni che la riguardano. Questo rischio è causato da un sistema di finanziamento che poggia le basi su una logica concorrenziale ed escludente e si traduce spesso in sequenze di bandi troppo settoriali e di respiro corto.

Di fatto, questo sistema relega il Terzo settore a mero esecutore di attività decise dai finanziatori, negandogli la possibilità di portare il suo contributo di saperi ed esperienze che normalmente dovrebbe precedere e poi accompagnare l’esecuzione di un’attività. Il cosiddetto “progettificio” è quindi la conseguenza dell’affermazione, tanto nel settore pubblico che in quello privato, di un sistema verticale a bandi concorrenziali che, da un lato ricorre sempre alla stessa procedura per raggiungere gli obiettivi più disparati (i servizi sociali non sono equiparabili alla grande maggioranza dei prodotti di mercato), dall’altro svuota di senso e di prospettiva l’azione del Terzo settore.

Nella logica concorrenziale, un ETS infatti è portato a vedere gli altri enti come competitors ed è quindi spinto a non condividere, a non contaminare e lasciarsi contaminare. Come in qualsiasi altro contesto di gioco a somma zero (dove a vincere è uno solo), il rischio di essere estromessi fa sì che si adottino strategie di breve periodo e di abbassamento della qualità e della quantità degli investimenti.

Il Terzo settore, nel suo dna, ha l’attenzione a cogliere le criticità dei vari periodi storici, tra cui bisogni emergenti e diritti negati, inquadrandole in un’ottica che include analisi e risposte attraverso l’individuazione di risultati desiderabili, sia in termini di outputs (a breve termine) che di outcomes (a lungo termine). Non solo: esso svolge la funzione fondamentale di avviare l’advocacy affinché determinate soluzioni a problematiche esistenti entrino nell’agenda di chi possiede il potere decisionale per affrontarle o le risorse per realizzare. Il sistema dei bandi, però, non di rado deprime tali caratteristiche piuttosto che valorizzarle, subordinando il Terzo settore ad agende già scritte, che necessitano solamente di “realizzatori”.

Eppure alla domanda se esistano e, se sì, quali siano le alternative, una risposta c’è. Già da diversi anni, infatti, sia nel settore pubblico che in quello privato esistono esperienze di rapporto con il Terzo settore che all’impianto concorrenziale dei bandi sostituiscono o affiancano uno inclusivo e partecipativo, fatto di relazioni orizzontali tra i diversi attori. Questo impianto, che si sviluppa grazie alla co-progettazione e co-programmazione con il Terzo settore, offre il vantaggio di adattarsi efficacemente ai cosiddetti “mercati sociali” e di produrre risultati migliori, tanto negli outputs e outcomes delle attività, quanto nelle organizzazioni stesse, che riescono a vedere e a operare anche oltre la vittoria di singoli bandi, improntando la propria sopravvivenza su decisioni e progettualità ben più strutturate.

La progettazione partecipata nelle aree terremotate del centro Italia, attuata nell’ambito del “Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile”, gestito dall’impresa sociale “Con i Bambini”, è un esempio di come sia possibile rispondere a un’emergenza sociale in modo decisamente più efficace in un’ottica non concorrenziale, coinvolgendo attori del privato sociale e del volontariato, scuole, enti locali e altre risorse educative del territorio. Modelli compartecipativi si realizzano anche altrove: FOQUS (Fondazione Quartieri Spagnoli), sostenuta anche dalla Fondazione CON IL SUD, porta avanti dal 2014, nell’ex Istituto Montecalvario di Napoli, un progetto di rigenerazione urbana in una delle aree con il tasso di dispersione scolastica più alto d’Italia grazie a una rete di imprese private e pubbliche, diverse per identità ma attive nello stesso contesto.

Anche nell’ambito pubblico troviamo importanti esempi: risale al 2012 la legge regionale della Liguria n. 42 che disciplina i Patti di sussidiarietà tra Pubblica Amministrazione e Terzo settore (la stessa stesura della legge fu frutto della collaborazione con l’allora portavoce del Forum Terzo Settore ligure, Valerio Balzini).

E in questa direzione va anche il Codice del Terzo settore della recente riforma, che prevede, attraverso la co-progettazione e la co-programmazione, un importante passo in avanti per la costruzione di relazioni ispirate a nuovi paradigmi tra enti pubblici e ETS.

Percorrere strade diverse da quelle “tradizionali”, pertanto, è possibile: realtà concrete ce ne hanno già dato prova e continuano a farlo. Bisogna, però, mettere in discussione la convinzione che il principio della concorrenza sia applicabile in tutti i contesti e soprattutto che conduca sempre a risultati migliori. In alcuni settori, soprattutto in quelli sociali, gli obiettivi veramente desiderabili si raggiungono solo raccogliendo e valorizzando più energie, consentendo la partecipazione di realtà diverse. In una sola parola, includendo piuttosto che escludendo.

* portavoce Forum Nazionale Terzo Settore

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