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Per favore, non chiamateli “Hotspot”

Riflessioni di fine anno scolastico di un’insegnante che ha scritto alla redazione di "Vita" per raccontare la sua esperienza con i rifugiati e lanciare un appello

di Cristina Moroni

Caro direttore,

l’altro ieri ho concluso gli esami di terza media e la cosa che più mi rimane di questo anno è l'enorme carico di speranza, di aspettativa per il futuro, di buona volontà che aspetta solo di trovare un terreno su cui mettersi alla prova, che questi ragazzi portano con sé. Certamente almeno quelli che vengono a scuola costituirebbero una grande risorsa per il nostro Paese, hanno tantissima voglia di lavorare e soprattutto gli africani sono animati da una fiducia nel futuro addirittura commovente, che fa pensare a quella degli italiani degli anni Cinquanta…

Di questo non si parla mai, gli immigrati sono sempre un problema da tamponare in qualche modo, ma forse si potrebbe rovesciare questa prospettiva e vedere se con loro si può realizzare qualcosa di utile per tutti. Bisognerebbe pensarci un po’, un’ impresa reale però, non uno di quegli sportelli finanziati con i soldi dell'Unione Europea che li fanno girare per qualche ufficio e alla fine li lasciano più frustrati che mai…

In merito alla riorganizzazione della prima accoglienza, sarebbe bello che si andasse davvero verso una maggiore chiarezza e efficienza nella gestione degli arrivi. Attualmente mi pare che regnino il caos e l’incuria più assoluti. Abbiamo avuto degli studenti africani che, dopo l’arrivo a Lampedusa, sono stati per due anni in un centro a Napoli dove non hanno fatto assolutamente niente, nemmeno un’ora di corso di italiano con un volontario! A questo proposito ricordo che gli educatori, quando ci sono, sono pagati 8 euro l’ora!

Però non capisco questa distinzione tra chi ha diritto allo status di rifugiato e i migranti per motivi economici. Mi sembra un po' una trovata per dire che rimandiamo indietro qualcuno e accontentare una parte dell'opinione pubblica… Ho l’impressione che siano due categorie molto vicine, a volte intrecciate, e comunque una povertà che ti spinge ad attraversare il deserto, ad affrontare le prigioni libiche e a salire su un barcone mi pare non possa essere respinta con tanta tranquillità.

Concludo con un piccolo appello a cambiare il nome “Hotspot” dato ai punti di primissimo smistamento (previsti dall'Agenda Juncker sull'immigrazione per identificare i migranti sbarcati e verificare se possono fare la domanda di protezione internazionale, ndr): cosa vuol dire, perché in inglese, perché così scostante? Veramente la lingua rivela molto del nostro cuore, e qui siamo già verso il militarizzato!

Foto GettyImages

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